Il cavaliere di Parigi, recensito dal direttore editoriale de “IL FARO”

Eliano Bellanova

 

SAGGIO CRITICO A CURA DI ELIANO BELLANOVA DIRETTORE EDITORIALE DE “IL FARO”

Parigi e Londra in Occidente; Costantinopoli e San Pietroburgo in Oriente, sono città che evocano sentimenti contrastanti. L’Autore Stefano Falotico nella sua Opera “Il cavaliere di Parigi”… si ferma a Parigi, una Parigi “irrequieta” ed “inquieta”, che spinge a questi versi: Qui geme l’orrore, della paura vi narrerò, io, girovago d’eterna buonanotte, di perpetua dolenza, latra l’avarizia di queste latrine di forma umana, e piangerete il dolore che c’infliggeste acuendoci soltanto di rafforzamento…

… e poi “vi racconto come incontrai Clint”, protagonista non manierista, originale anzichenò. Clint è “colui che è”, frase che riecheggia l’Opera di Nietzsche “Come si diviene ciò che si è”. Clint nella Parigi turbolenta, che avrebbe fatto arrossire gli uomini più emancipati del secolo scorso, procede dall’intima catarsi al divenire senza ansia e senza timori. … … “Notte di corvi meditabondi e della vendetta annunciata Voglia di nudo, il mio silenzio cupo, l’ardore nottambulo del mio corpo, il vigoroso, lacerante urlo” … … Questo e non solo è Clint, il personaggio che trova catarsi ed immortalità nelle pieghe/piaghe sue e della vita conturbante che scorre sotto i suoi occhi, la quale è forse per lui una costruzione perenne a più piani, tutti mutevoli e soggetti al tempo che passa. … è l’uomo che nasce continuamente, forse “un nano sulle spalle di un gigante”, come si espresse Tommaso Campanella. Clint è anche il rivoluzionario, il ribelle, forse colui che ricorda in una specie di reminiscenza da imprinting la Parigi rivoluzionaria del secolo XVIII: i vari Marat, Danton, Robespierre, Saint-Just… gli trasmettono “inconsciamente” un substrato di “ribellione”, di “antischiavitù”, una “antischiavitù”, che diviene poesia, gusto guerriero, capacità di battere e battersi in un battito di ciglio… la rivoluzione del silenzio, perché il silenzio pesa, è macigno, è pietra. Ed il mondo vive di macigni e pietre, che oggi sono le “parole” che fanno “società e costume”. Clint è “nudo come Cristo nel Getsemani”… ma probabilmente la sua è una nudità morale e di pensiero, un vedersi, attraverso gli eventi mutevoli, come si è, come ci si trasforma, come “si diviene”. Clint: elemento “bi-anima”, dove una “propaggine” vagamente nibelungica si spoglia di fronte ad una realtà cocente, in cui convergono vizi, difetti, virtù, interruzioni, tristezze, fughe dalla realtà, “dis-educazione” a ciò che è stereotipo ed “uso comune”… “sempr’umidi di stronzate contro gli stronzi”, che si ribellano alla corrente della marea, alla materia avvilente, al “trucco” “mangia-persone”, in confronto con cui anche il più insignificante e vile “passatempo” è “intelligente espressione”, grande “rumoroso” silenzio.

Per rompere lo strano anello di Re Salomone, come direbbe Lorenz, bisogna, però, “affrettarsi”, correre, raggiungere… poiché “La morte incombe, spezzerà le ossa e un moto ribelle s’innalzerà a nostro furore”, dopo “l’orrore della paura”, un orrore sotterraneo, che corre lungo i “versi dei fiumi”, che con le loro onde spazzano pensieri e passioni ed anche languidi abbandoni, fino a “situazioni kafkiane”: “Il Conte ama i corvi nella notte lunga/e coi lupi,/ succhiando i virginali colli femminei, /“lunghissimo” s’avvoltola da creatura col suo creaturale/cantico”. Clint farà i conti con “le menzogne convenzionali”, con la rotazione quasi epilettica delle parole gettate al vento, in un mondo dai palpabili disagi da “décadence”, in un mondo di “forces défaillantes”, “dedito” ad un “sortir de la route principale” o ad una deviazione della “diritta via”, che Dante stesso enunciò senza saperne definire il valore intrinseco, poiché la definizione di una “essenza vitale” non può essere “vocabolario”, tali sono frequenti le “esplosioni intime” che avvengono dentro di noi… rivoluzionari eterni, che non possono tacere all’infinito: “Il nichilismo della società odierna si misura/dal fatto che ogni importanza della parola ha/perso (il) senno, anzi il sen(s)o alla vita ste(s)sa” – sostiene l’Autore, che rafforza la sua tesi nell’irrequietezza adolescenziale, che per non essere curata, soggiace ad una parola-definizione: “tipo nevrotico” – l’enigma di Sigmund Freud, che, dopo aver trovato efficaci definizioni per i soggetti “psicotici”, si ritrasse al momento della “cura”, forse perché irretito o ghermito dalla “stabilità non itinerante” delle sue stesse definizioni. Anche i latini inventarono i paradigmi nei verbi, precludendosi ogni azione in “divenire” ed “essere”, evitando impeto e tempesta, soggiacendo alla “logica grammaticale”. Un mondo costruito su “piattaforme” si scontra con anime sofferenti, tristi, “maniacali”, “sensuali”, “vittime e protagoniste”, sognatrici e voluttuose, vogliose di sesso e di avventura. I grandi del cinema hanno spesso delineato un mondo “diverso dal diverso”, oltre il comune diverso.

Il Clint di Stefano Falotico è, a sua volta, l’ultimo cavaliere di “un’epoca che non c’è” e, in quanto tale, non può divenire, ma reagire alle sconfitte ed al quotidiano scorrere fra paletti, steccati, idee appiattite, mitezza di mente, pochezza di mente, idiozia e fatali abbandoni. La ribellione degli “schiavi” è vissuta come una sconfitta.

E quando una sconfitta deriva da una ribellione pesa due volte: nell’animo del “cavaliere”, come in quella delle plebi parigine che, ancorché ribelli, hanno in loro l’anima del marciapiede, della strada, della “delinquenza” nella migliore accezione: forse sono chiamati a non essere veri eroi poiché operanti in condizioni precarie, avverse e pregne di una filosofia manieristica riduttiva e distruggente. Siamo in presenza di un’Opera di incommensurabile valore “prospettico-psicologico”.

Eliano Bellanova

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