Letteratura? Le riflessioni degli autori

Lupo

Nel giro di pochi anni, sfoglio il mio “catalogo” e “rinvengo” molti libri pubblicati a mio nome. Al che, riflettendo, davanti a uno specchio che, soavemente, rimanda la mia immagine, appunto riflessa, m’accorgo di essere-non essere uno scrittore, parafrasando Shakespeare e il suo celebre monologo amletico. E, scrutando questa mia immagine, io stesso prendo coscienza che il mio essere è stato e sempre sarà in cangevole, danzante, frenetico, perpetuo mutamento. Osservo i miei occhi in tal “vitrea” rinomanza di me specchiato, e “annuso” la mia anima, la indago, inabissandomi nelle ragioni, anzi regioni, forse arcane, insondabili e misteriose che, quasi inconscia-mente m’han portato a svelarla, a scandagliarla e, sì, “denudarla” nei miei scritti. Scrittura, e dunque letteratura, come forma personale di eterna, continua indagine. Come perenne voglia “matta” di scorporarmi, oserei dire, di esternarmi in emozioni, appunto, scritte. Letteratura come taumaturgico modo di veder coi miei occhi proprio il mondo, come analisi infinita e mai doma di riflettere su esso e riflettermi io stesso nel mondo. Come emozionalità del mio io che guarda col suo sguardo, sta in “guardia”; si trincera nella sua intimità, alle volte timida, e non “parla”, non dice, poi all’improvviso mi “esterno”, mi rendo anima e scrivo, “narro” di quel che sento, di quel che vedo, cambiando sempre, di quel che vivo.

Letteratura come vita.

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