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I capolavori di tutta una vita, all my life

I miei capolavori

In ordine sparso, incendiario, i film che “segnano” ogni vita, compresa naturalmente la mia, la più gioiosa, malinconica, euforica ma di fosforo.

In questa “categoria”, anche i filmati “autoprodotti”, autopensati nel “montaggio” della mia mente, di voce che li recita. 

Partiamo alla rinfusa, così come viene, venne, la “vena” e verrà!

Ci sarà sangue!

Divampa la follia dietro un volto marmoreo e ghignante, scarno e macilento, baffuto e ispido, cova dentro per eruttare in sguardi glaciali, che “baciano” la morte e la violenza, l’anima più buia che si era rapita, aveva smesso di enunciarsi dietro una signorile posa claudicante, dietro un’arcigna, magra, imponente fierezza.

Paesaggi western folti e lussureggianti, “scalfiti” da macchie di vegetazione aspra e brulla che sfoceranno in un mare limpido, per te solo altro nero petrolio, come fantasmi sulla strada adombrati nel loro purpureo, vivido furor di sangue, nei suoi zampilli, negli squarci di una passione perversa e lussuriosa, dove vivi con ascetico distacco corpi dissolti e avvolti nel turbinio di godimenti carnali che lambisci ma non mangi, pervaso solo dalla fame dell’avidità del denaro e del suo meschino, “torvo” guadagno.
Film sulla religione come superstizione, rivelazioni nella Notte tempestosa dove il Demonio è sempre il vicino della porta accanto, che bussa cheto e “parsimonioso”, maschera ruffiana che t’indurrà in tentazione, al peccato, peccati che scarnificano e sgretolano l’anima. E, guaendo nel tuo arcano, mostruoso “silenzio”, ascolterai il canto mellifluo di sirene concubine che non vuoi avere, fra bagni di danaro e un figlio ripudiato, abbandonato alla sua sconfitta.
Una magione in cui giuochi con le fiamme dell’Inferno, te ne (se)vizi, in una pista da bowling che, nel tuo delirio d’onnipotenza, da divoratore, sarà la scena di un abominio, di un’altra anima rubata e uccisa.
E hai finito… La vita è un uomo di Cuore rapace che desiderò, terribilmente ambizioso, la follia del suo spettro, della sua ombra tra le memorie del Tempo.
L’odio implacabile che ti ha allontanato dalla gente, perché non vedi e non scorgi più nulla di attraente in loro e nei loro sguardi, solo la tua mente nel plumbeo disincanto della tua utopia. Del tuo essere lupo nel bosco di Dio.

Capolavoro.

(Stefano Falotico)

In data 14 Settembre, invece, giustappunto un Giorno, dunque (Dark Knight Rises dopo…), il mi(t)o Batman:

Stelle (de)cadenti nell’imbrunita palpitazione di rossa sinergia su turgide, virulente lune, battito alato d’una nitida ma sibilante resurrezione

Diario di bordo, “versetto” di sangue numero uno, Incipit

Nella vulcanica astrazione del mio “horrorificar” l’anima, smaltandola di simbiotico baglior albeggiante, oggi, finalmente riscoccò il Giorno nei fulminanti latrati d’un corpo rinnovato, famelico di nutrizione metafisica, in una serenità scossa, ancora, da fragili equivoci di neuroni contorti, imprigionati di melanconico naufragio nel tenue ma corrosivo inabissarli, dunque appunto intenerirli nella claustrofobia rinascente d’un vivido grido selvaggio inferocito di nitor a Ciel “cereo”, opaco e poi perlaceo, di suoi gracchii furibondi ed euforici. Sguinzagliando le tenebre che castigarono il Cuore in un esserne preda della vita, imponderabile e maestra nel “perquisirmi” per inseguire la romantica dissolvenza della catarsi.

Con tal brillante apatia sconfitta, dopo le lenzuola morbide di cuscini setosi nell’opulenza dei sogni, solerte nel Sol solitario ma evanescente d’immaginazione erotica e intrepida furia, mi “racchiusi” in un cinema sapor “primizia”, a degustare un capolavoro annunciato, la cui visione rimandai per sfoltir la massa troppo rumorosamente adorante di suggestioni e indotto, “acritico” imboccarla.

Dietro la mia poltroncina, addobbata di classe “invisibile”, un gruppetto di ebetucci con le “erbette”, tra frizzi e il “lazzo”-canaglia alle loro cagnoline, “dolci” di bacetto “fumoso”.

Aspettai, (in)ininterrottamente, che tutto si spegnesse per riaccendermi, e la mia anima, (dis)illusa, si sorbì gli “assorbenti” e filmati sconci di macellerie ove il capriccio edonista sfodera quanto sforbicia la coscienza, “invogliandola” a patir l’omologazione anche del più inviolabile nostro segreto, il Sesso.

Numero due, l’inizio del Terzo…

Memorie dal sottosuolo del ricordo di un Uomo “scomparso”, misteriosamente eremita e “asociale”, zoppo, dunque claudicante, scarico e addolorato d’occhi troppo neri e una magrezza ossutissima di muscoli ieratici nel panorama tetro d’una inflaccidita, pigrissima Gotham.

Christian Bale, proveniente da un Pianeta camaleontico di mutazioni corporee dal fisico bronzeo ma carnagione pallida e “malata”.
Antichi amici tentano, (in)delebilmente, di risvegliarlo perché troppo “addomesticato” dal suo carisma “dormiglione” negli allori, nella allure e nelle aurore che (non) furono.

Ove la Notte squittiva nuda indossando un colore mascherato di voce cavernosa nelle grotte che zampillavan da giustiziere…

Prima della sua (ri)comparsa, un mostro titanico di fisico teutonico e “detonante”, Bane, un Tom Hardy di robustezza quasi “obesa”, costole “pentecostali” di un’esistenza soffertissima e lacerata nell’efferato terrorismo, anch’esso “celato” dietro un volto semicoperto, però non “sdoppiato” ma fin troppo esplicito senza fraintendimenti: prenderà d’assedio Gotham per “rigenerarla” nella vendetta purificatrice del fragore atomico.

Pausa erotica, insomnia…

Anni di clandestinità e da cane, anzi d’allupato su un divano “scamosciato” di mie registrazioni notturne “dispettose” nella “suzione” di tutta la mia magniloquenza virile che allisciò le turbolenze adolescenziali, gemendomi dentro nell’apotesi “svergognata” d’una “reclusione” ed “esclusione” di “sfregarmele da menefreghista e (s)freg(i)ato”.
Donne dai culi magnifici in gara di competizione antecedente, dunque di posteriore “sgommato”, con questa Catwoman “aderentissima” d’eccitazioni “pneumatiche”.

Versetto finale del rising

Un urlo a incoraggiare il leone abbattuto dall’oscurantismo “medioevale” di torture all’anima e punizione troppo severa.
Un pozzo che non avresti mai più scalato. Finché i nervi si rinsaldarono al metallo forgiato nella tua forza adamantina, principesca, possente d’ancestrali potenze rifiorite nella Genesi del tuo Tempo.
Allenamenti a rinvigorire le iridi accecate dall’odio e dalle invidie, del tuo dinastico privilegio che non ha mai imparato a “farsi il letto” per esser riverito da maggiordomi e (Notre)dame…

E un balzo sorprendente, issato in gloria di chi ha tifato lì, in fondo ai “tufi”.

Complotti, una Cotillard dal seno che ci rimani secco, in “giuggiole” d’occhiolino invadente per “spolparla” nei succhiotti al nettare.
Ma che si rivelerà una traditrice doppiogiochista di lama tagliente ma, tanto scattante, quanto di lenta scaltrezza.
“Calcolo” a cantar “vittoria” troppo presto che, infatti, rallenta l’imminente, rinviata tragedia per la suspense ”prevedibile” ma sempre spettacolare.

Il terrificante cattivo abbattuto, la “puttana” seviziata da un’Hathaway che recita nell’”esagerazione” delle “natiche” della controfigura, gran figa, e un finale “aerospaziale-nautico” con tanto di esplosione…

Della salvezza, dell’applauso, del Robin da colpo di scena furbetto e un inevitabile…

… Michael Caine, il saggio e “venerando”, commosso, lancia un’occhiatina e augura “Buona vita” al “(non) morto”.

Nosferatu ama anche in un bistrot…

(Stefano Falotico)

Il tassista vien di Notte…


Di notte vengono fuori gli animali più strani

Iris del gruppo Mediaset propone da stasera un ciclo di nove pellicole dedicate a Robert De Niro, che, ripetiamolo, per i tardi di comprendonio e per i detrattori che ancora brulicano (purtroppo esistono anche quelli e dobbiamo sopportarli), è indiscutibilmente uno dei massimi interpreti della storia del Cinema.
Si parte col capolavoro immortale di Scorsese, quel Taxi Driver, Palma dOro al Festival di Cannes del ’76.
Immerso nella fotografia di Michael Chapman, è un film che non ha bisogno di presentazioni, a ogni nuova visione acquista sempre più fascino e valore.
Travis, Uomo della Notte, “straniero” in un Mondo “ostile”, angelo marchiato nella solitudine, ombra adombrata dalla sua ansia e da un insostenibile male di vivere che lo condurrà a un gesto salvifico, quasi una catarsi per rinascere.
Non mi soffermerei a elogiarne i meriti, mi parrebbe pleonastico, su questo film epocale si è scritto di tutto e di più.
È un dovere innamorarsene, amarlo, ed essere eroi metropolitani delle luci al neon, delle strade malfamate di un’America alienata che guarda le depravazioni, lo Sguardo febbricitante di un Uomo “solo” anche in mezzo alla folla, della furia che lo possiede nel suo trasformarsi in giustiziere, il cowboy col taglio da mohicano, in un’America che non dorme sogni tranquilli, soffre d’insonnia.
Magnifico, insuperabile, una perla fra le perle del grande cineasta Marty e del suo sceneggiatore “di fiducia” Paul Schrader. Oltre il capolavoro, oltre tutto e l’immaginabile.

Cowboy notturno

7 Dicembre 2011, ore 21:10…

Ripassa sul canale, Iris, o da pronunciar “airis” come Jodie Foster…

Ermetici, nottambuli, svagar nell’ammansito pudor che s’”orgasmizza“, “lacerato” a pelle o in sé allacciato, di stentorea fame in un marmoreo grido che fu tetra, feral oscurità dell’anima incupita o nelle tiepide luci lunari “assolata” nella sua pacata solitudine che si “crepuscolò” nell’”evanescendola”, assiderato da battiti cigliari nei “gracchii” del gelo o d’una maschera funerea a scolpir le cardiache levità sempre assopite, i tenui grovigli ad avvinghiarla per auscultar solo profumi mai incendiati, selvaggio crepitio d’offuscate danze nella Notte e nella sua immersione opaca in sulfurei colori per abbagliar la nudità mai abbigliata o le palpebre timorose d’accecarla nei “vitrei” fremiti.

Passeggero di nera cupezza o di suo puledro ero(t)ismo, nell’incendio di “cristalli” tonanti di densa foschia “glaciale” o di morbidezze innamorate di angeli biondi a temprar la lussuria avvincendola all’ischeletrica insonnia che “martirizza” il sonno e anche il risveglio, l’imperioso boato dei madidi labirinti a giacer con le iridi nei loro “liquori” più sibillini o liturgici nel soffice romanticismo di graffi intinti nel buio di represse ferocità, il suono della violenza è un vampiro che si squarta “vitorioso” nella catarsi, nel risorgere d’una rinascenza che si terge d’ogni suo peccato, “lagrimandolo” di sangue o d’un altro “nitido” bang dagli affreschi lividi di porpora.
Vitale, ansima di respiri eterei, immortalmente, è vividezza. Alba nel suo urlo magmatico.
E, si strugge, poetico d’un altra “sua” New York.

 

C’era… in America… che brutta “cera” che hai “fratello”.

Il Tempo nell’once upon un’altra (s)volta

Rinomate torsioni della memoria, “drogata”, sbiancata di ceruleo, denso liquore fra le “palpebre” dell’anima, d’occhiolini (mai) smaltiti, “ammattiti” da una tempesta emotiva che, d’effluvi sonanti nel ricordo, carezza torbida, tortuosa, “torreggiante” i propri giardini labirintici, “sbuffando” la “noia” delle lancette, lo scandir “mesto” d’imbrunite emozioni, svagate, cogitabonde, “ammanettate” al malinconico urlo e indocilite da acchetata brezza dei dolori e degli amori.
Come un treno “a vapore” che s’”inerpica” lungo la via solitaria di se stessi, “eremiti” in una città mitica in cui ricompari come diamanti “grezzi” d’una fantasmatica (ri)emersione dalle foglie autunnali, “invecchiate” o ringiovanite del tuo “vampiro”, assetato di nostalgico fumo nelle iridi dell’erta “pavidità” che (non) fu e delle altre coscienze “svanite”, imborghesite, morte dentro o forse ancora a morsicare le vanità degli attimi cancellati d’indelebile ma(i) erosa reminiscenza.
A riscoccare della magia che, intrepidi, stupidi, “inetti”, “perdenti”, reinventati o “rivinti”, intraprendemmo nel lontano, lontanissimo, remoto ammiccarci da “anziani” amici. Come ieri, come oggi, come l’eterno inamovibile.

Criminalotti “bambini” o già troppo uomini in questo Mondo di duri, che già scalfì al primo vagito “extrauterino”, incarnato in respiri ribelli “troppo” vivaci da “tacere” nei “silenziatori” delle pistole, a chiuder la bocca a un balordo sistema già epi(dermi)camente, all’epoca, grigio e “solare” di nerezza. Del “gironzolare” da oziosi e “scioperandi” disoccupati dall’obbligo “morale” a un’esistenza irresistibilissima per non viverla al massimo, dunque “fallita” per gli impiegati del “catasto”, sempre lì a tastarli, ad “arrestarli”, a perseguitarli, a (s)cacciarli… questi incalliti nelle loro candide, incandescentissime “innocenze”” da angeli sporchi, macchiati nel sangue e negli zampilli “variopinti” della “marea”. A ballare sotto il ponte di Brooklyn, nel leitmotiv di Ennio Morricone, fischiettato di “ritornello” che non tornerà più, anzi, i tornanti delle alterazioni, del cambiamento, del growing up, della fiabesca “depravazione”, delle perdizioni appunto del “loser” Noodles.

Noodles, che “violenta” il piacere d’un invaghimento dell’infanzia. Che sbaglia le mosse o le azzeccherà tutte, nella “zecca” della banca dei sogni, ove la cassaforte è senza più un soldo.
Svuotato, infatuato di un ideale di Bellezza smarrita. Chissà dove. Chissà quando.
Chissà in quali anfratti, in quali angoli delle forti fragilità, delle “limpide” brume, di quali tramonti, di quale scor(d)ata, illusoriamente indimenticata “era“.

Un capolavoro assoluto che è nel genio Sergio Leone. La misoginia, il tradimento, i “valori”, le controversie, le “variegate versioni”, le cuciture, le aggiunte, i “restauri”, l’”appannato” rispolverarlo, le rivalità, le competizioni di nessun Oscar “agguantato”, i torti, gli errori, i rimpianti, tutto ciò non m’interessa. E non ce ne frega niente.

Un’opera maestosa lo è, di nascita. Non si può analizzarla di “riassuntini”, di “stilografiche” e di stilemi.

Piomba dal nulla e ti sorride col neo beffardo di De Niro.

Yesterday…


(Stefano Falotico)

 

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