Stavolta, dopo essermi cimentato con vari generi romanzeschi, già presentati qui, ad esempio, dal bravissimo Paolo, come “Il cavaliere di Alcatraz” e “La pallida ipocondria della Luna”, dopo numerosi saggi autarchici e personali su registi e attori, come i miei su Scorsese, De Niro e Nicolas Cage, ho di nuovo intrapreso e tentato la strada della saggistica, ribadisco, personale, eccentrica, fuori dai vetusti e noiosi schemi didattici o dalle faziose agiografie pedanti e appunto seriosamente celebrative. Concentrandomi, “bizzarramente”, in questo caso, sull’immenso cineasta canadese David Cronenberg e, come “evidenziato” dal sottotitolo, “Poetica indagine divorante”, analizzando la sua arte filmografica, il suo excursus registico e la sua linea direttoriale in modo, ripeto, sempre agganciandomi, a filo diretto pulsante, sentito, vissuto “a istintiva pelle” d’ammiratore suo sconfinato, legandomi anche alla mia di poetica, così come rimarco con questo “Poetica”…, appunto, a sottotitolo, sottolineo, eloquente.
Dunque, se da un lato, naturalmente, non trascuro da impegnato recensore la sua filmografia, sviscerando il suo stile in maniera composta e non faceta, ho d’altro canto provato ad abbinare le opinioni sui suoi film e le mie considerazioni sulla sua linea registica, a introspezione, diciamo, speculare perfino di me stesso. In un processo identificativo regista-spettatore e viceversa, per fondere il mio spassionato amore, la mia infinita venerazione per Cronenberg, alla voglia di “scoprirci” assieme da “colleghi”, oserei dire, della stessa professione artistica, il Cinema. Lui, da direttore e geniale inventore di storie che trasforma in magnifiche immagini in movimento, io da osservatore-amante che, adorandolo, vuol vedervi in profondità coi miei occhi, elaborando il suo Cinema a gusto anche unicamente “proporzionato” a come io lo vedo ed enormemente lo ammiro.
Sperando che anche il potenziale lettore possa vedere il/al suo Cinema con sguardo/i nuovi.