Kickboxing, recensione di Eliano Bellanova

kickboxing bellanova

 

Un saggio critico a cura di Eliano Bellanova – Presidente dell’Araba Fenice Ed.ni Magna Grecia e Direttore della Rivista bisettimanale IL FARO ITALIANO Kickboxing di Stefano Falotico Youcanprint

Lo sport è spesso “come si diviene ciò che si è”, ma anche come “si diventa”, come ci si “trasforma”, come si percorre la vita. … la vita che è fatta di ricordi, affanni, dolci abbandoni, gioie e tristezze, in un avvicendarsi senza fine, poiché vi è qualcosa che va al di là, al di là dei nostri pensieri e delle nostre speranze. Per il religioso è un disegno divino; per il non credente è un disegno della Grande Madre Natura. In fondo, credenti e non credenti sono più vicini di quanto essi stessi sospettino o suppongano. Il clima del libro di Stefano Falotico, Kickboxing, trae dal misterioso “coacervo” orientale di “una Tailandia armoniosamente mortifera”, come afferma lo stesso Autore (che, sia detto di passaggio, è uno dei fenomeni della letteratura di cui ci si dovrebbe occupare con grandissima attenzione: innovativo, speculativo, introspettivo, “sociologico”, “sfregiante”, “piccante”, ironico, sarcastico, satirico… tutti ingredienti che fanno grande l’arte della scrittura, specialmente in un’epoca, come la nostra, in cui “lilliputti” varcano la linea di confine dal non-scrivere allo scrivere). … e poi l’Autore accede al lirismo dove accenti di vendetta e languidi “ritrovi poetici” si intrecciano in un canovaccio avvincente. E, tuttavia, l’Autore non pone mente ad essere avvincente e neppure a “piacere a tutti i costi”. Sembra non cercare l’effetto-successo, ma lo scrivere “Dall’occidente a oriente, nella terra del Sol ardente, trovò la tragedia e or lì, ove le albe rosseggianti tinteggiano i cieli ribaldi del mattino crepuscolare, meditava Eric Sloane…” per sublimarsi nella “macellazione vivente”… “Kurt, caro fratello di sangue” e “dove sei Eric”? Nella tua forza di essere uomo, ma, forse è un punto interrogativo, che sottintende la grandezza e la piccolezza dell’uomo, gigante e pigmeo al tempo stesso. L’ira svanirà e si assopirà nel “putiferio di lacrimanti pulsioni feroci?” – è l’interrogativo-cardine cui si affida l’Autore in una sorta di autoriflessione, che ha come punto di partenza la montagna umana, dalla quale si perviene al pendio, per il quale ammonisce Nietzsche: “Non la salita, la ma china è terribile”. E durante il percorso vitale turberemo e perturberemo “se stessi” e saremo vittime consapevoli e inconsapevoli, mentre il destino dardeggia all’orizzonte e compie il suo gioco vitale e mortale, come le perverse dee greche Cloto, Lachesi e Atropo, in un interminabile “tessere”, come un’eterna paziente Penelope. L’Autore lo sa, lo intuisce, ma lascia un grande vuoto, un vuoto di riflessione, un profondo punto di sospensione, che non è solo l’interrogativo del “momento”, ma quello universale, dove ogni pensiero converge, si confronta e si annulla “perigliosamente”. E mentre l’uomo grandeggia al suo stesso orizzonte, sente in sé il freno del caso, un gigante imponente e “incosciente”, che taglia, cuce, suona, canta e balla, perché forse su questi ritmi si regge la vita… una vita fatta di “pugni e calci”, in un’incredibile e paradossale metafora… la metafora dell’Olimpo, dove sommi dei-eroi si rifugiano per fuggire dal mondo umano e per dettargli i “comandamenti”. … i comandamenti della tristezza… e del dolore… … i comandamenti dell’effimero e dell’insensatezza… … i comandamenti della felicità… L’Autore ammonisce infatti: La vita è insensatezza, perigliosa gioia che poi si spacca all’improvviso e, ne(r)vosa, è spesso “cosmesi” per non soffrire, per non patir il dolor della nascita, una continua, sfrenata battaglia in cui siamo tutti imbavagliati, di regole ottundenti imbevuti, fantasmi d’un destino che si credeva c’avrebbe portato vita armonica e, invece, per eventi storcenti, c’ha arreso in un mar di pioventi frane del tempo che ritorna torturante, anchilosandoci in spinosa brutalità dell’obiettiva realtà in cui, come te, Eric, siamo/sei rotto a metà, martellato da un corpo amputato. Eric è il sogno, la poesia, il mare, la montagna, il diluvio, il vento impetuoso, il sogno, il sonno, la poesia, il miracolo, la virtù che dona, il coma profondo, la vendetta fisica, la punizione, la “spinosa brutalità”, la “regola mendace”, la volontà estrema, che si “abbattono” contro il fato avverso, il magnifico dare e ricevere, il trionfo, l’apoteosi, la lotta… Eppure alla fine egli bussa alla porta del fato, del caso e del destino, un destino inseguito, voluto, subìto, condannato, avverso, opposto, privo di desideri e di voluttà, ma imposto da leggi superiori, da comandamenti che scendono in noi e infiammano il nostro essere sensibile, creando un “latifondo” di miriadi composti, che si sovrappongono e si contendono il primato di fronte alla storia, alla nostra intima storia, che si chiude con un “sonno pesante”, nel quale, come sosteneva Alessandro Manzoni, “è silenzio e tenebre la gloria che passò”. Il libro è un grande “passaggio letterario” per un Autore che nell’originalità della sua espressione linguistica, estremamente “nuova”, coniuga i sentimenti del mondo che fu, con quelli presenti e “attuali”, con la “inattualità”, il “classico”, il divenire e il futuro. Stefano Falotico è uno scrittore del “futuro”, per questo è sempre attuale…

 

 

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