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Le mie opere

Qui, invece, le opere letterarie. Stefano Falotico, artista tout court e immarcescibile a spaziare fra Cinema e Letteratura, poesia, prosa… e “romanzarla”.

Eccole, appunto.

Il mio esordio avviene nel 2005 con “Una passeggiata perfetta” per la Joker…

Stefano Falotico nasce a Bologna nel 1979, anno dell’uscita di due must assoluti della storia del cinema: “I guerrieri della notte” di Walter Hill e “Apocalypse now” di Francis Ford Coppola.
Da sempre fautore di un Mondo sganciato da moralismi, sostiene il libero arbitrio, il progresso metafisico e la ricerca dello sperimentalismo, la visione “trasversale” delle cose e della realtà, che ritiene essere frutto della nostra mente e non sempre di ciò che gli altri vorrebbero farci vedere.
Adora le vite irregolari, “frastagliate”, senza troppi punti fermi. Fra i suoi interessi il cinema, il “nulla” che riempie, compenetra la vita, il sogno che è movimento. Il sogno che tiene vive le emozioni, le alimenta, le altera, le energizza.

Qual è dunque la cifra di “Una passeggiata perfetta”, che pare opera così slegata e priva di un motivo unificante? La risposta ce la fornisce l’autore stesso nelle pagine iniziali dell’opera, quando istituisce un paragone tra la sua narrativa e la tecnica del regista David Lynch, che a proposito di un suo film caratterizzato da eventi inconsequenziali e paradossali parlava di trasposizione cinematografica dello psychogenic puke, il rigurgito psicogeno, una malattia psichica che comporta il rifiuto della cosiddetta realtà normale e la sua sostituzione con un mondo parallelo che l’individuo alienato ritiene essere l’unico autentico, «una realtà alternativa con regole proprie, da lui tollerabili. Non una semplice rimozione cognitiva, ma un’autarchia soggettiva riflessa», per riprendere le lucide parole dell’autore.

(Dalla Prefazione di Gianni Caccia)

* * *

II

Frank era un tipo alquanto strano. Tutti in quartiere avevano timore di lui per i suoi modi sfacciatamente antiborghesi e allo stesso tempo gli portavano grande rispetto e stima per via della sua acutissima intelligenza. Uno che era meglio non frequentare troppo, ma da cui ci si sentiva irrimediabilmente attratti. Era un grande amico. Il nostro grande amico Frank.

Era una sera in cui soffiava un soffice vento caldo. Passeggiavamo allegri per strada. Ci sentivamo i padroni del mondo.
Invulnerabili, arroccati com’eravamo nelle nostre convinzioni giovanilistiche. Niente e nessuno avrebbe disturbato la nostra amicizia.
Frank era lì in mezzo a noi, pareva divertirsi, accondiscendere alle nostre risate. Replicava in silenzio con la sua faccia eternamente fissa in posa commiseratrice, come chi è avvezzo ad ascoltare stoltezze per provocarsi diletto.
Un sorriso triste che languiva sugli zigomi e dormiva sereno nei suoi profondi occhi neri. Bui, inquieti, permanentemente fissi e mobili.
Per quanto ne so, Frank mi piacque dal primo momento che lo conobbi. Aveva un modo tutto suo di esprimere le emozioni. Era carismatico e freddo, coriaceo come un martello e debole come la dura roccia che si sgretola sotto i suoi colpi. Placido come un lago boschivo increspato dalla brezza serale. Inafferrabile come le alghe che si agitano sotto la sua superficie.
Quando uno pensava di aver capito qualcosa su di lui, eccolo comportarsi in maniera assolutamente imprevedibile, spiazzante, ironicamente caustica. Poi sfoderava il suo inconfondibile sorriso disinteressato e girava lo sguardo altrove.
Alle volte avevi paura a fissarlo negli occhi. Pareva impossessarsi dei tuoi pensieri e non volerli restituire. Frank era una bella persona.

Quella sera il locale era davvero affollato. Eravamo seduti attorno al tavolo con in mano le nostre birre. Frank continuava a ripulirsi la schiuma dalle labbra. Josh, imperterrito, importunava le ragazze dietro di noi con battutine di dubbio gusto. Daniel era zitto e pensieroso e faceva finta di ascoltare quanto Michael aveva da dirgli.
Provai ad attirare l’attenzione iniziando a parlare di politica. La mia iniziativa fu stroncata sul nascere da un’occhiataccia severa di Josh. Deglutii piano ed imbarazzato tornai a meditare in silenzio.
Frank alzò la testa ed incrociò il suo sguardo al mio e mi strizzò l’occhio affettuosamente. Si passò la mano fra i capelli e schioccò le dita, canticchiando sottovoce un ritornello musicale.
Abbastanza sbronzo, Josh si alzò in piedi e barcollante, ballò al ritmo della musica. Poco dopo anche Michael, finito di dar sfogo alla sua loquacità logorroica, fece lo stesso. E a ruota, fu seguito da Daniel, sempre più catatonico.
Rimanemmo io e Frank. Provai ad imbastire un discorso, con esiti vani. Frank era irremovibile. Da quando eravamo usciti, non aveva aperto bocca.
Pareva esser schiavo di uno stupore tranquillo, come se non gli importasse di niente e di nessuno. O per ragion contraria, talmente assorto a riflettere da apparir distratto.
In certi momenti era davvero difficile solo provare ad immaginare cosa gli passasse per la testa. Stava lì ad osservare le macchine sfilare dalla finestra, col suo strano sorrisetto stampato in faccia. Non aveva bisogno di dirti che non desiderava parlare. Lo si capiva benissimo.
Lo fissavo, ticchettando con le dita sull’orlo del bicchiere, forse per richiamare la sua attenzione. Per un attimo volli fortemente che si voltasse verso di me e con irruenza mi bloccasse la mano, urlandomi: «Basta, mi dà fastidio». Frank non l’avrebbe mai fatto, men che meno in quell’occasione. Con lui potevi startene zitto senza provocarti imbarazzo.
Quel picchiettare ripetuto doveva martellargli le cervella, ne sono convinto, ma non era il tipo che t’avrebbe violentemente intimato di smettere. Soprattutto se eri l’unico possibile interlocutore seduto al suo fianco. Sarebbe stato come dirti: «Non sopporto la tua compagnia. Se proprio hai da dire qualcosa, dilla».
Frank era forse un fine provocatore. Aveva rifiutato cortesemente di parlare, e nonostante i miei timidi, persuasivi sforzi, continuava a rifugiarsi nel suo obbligato mutismo.
Pareva sussurrarti: «Sono qui, forza, se decidi che ti rivolga la parola, riprendi nuovamente a parlare. Stasera non ho voglia di essere contento a tutti i costi, però non è detto che non lo sia. Non sono in vena di parlare, ma non è detto che tu non possa farmi cambiare idea. Far rumore, sbattendo forsennatamente le dita non serve a niente. È per questo motivo che tu acuisci in me la convinzione di starmene zitto. Sbagli atteggiamento».
Un’altra persona credo sarebbe rimasta oltremodo spazientita dai suoi modi. Io invece con Frank stavo bene. Non chiedetemi perché.
Invece, per Albatros – Il Filo, ho pubblicato “Hollywood bianca, una favola melanconica jazz rock”, “Frankenstein” e “Noir Nightmare – L’ombra blu del fantasma”

“Sfiliamoci”:

“Hollywood bianca”: notti insonni e visionarie nel sordido locale di Clint Steele, dissacrante tempio del culto del niente: pallida come un volto ceruleo e nauseabondo, volgare come una puttana, sbronza di vita e di trasgressioni, Hollywood si staglia immensa e decadente nella luce artificiale di lampade fioche, sigarette che sfiatano fumo e veleno, musica che accompagna il lento scorrere di ore stonate. Sogni e leggende metropolitane riempiono la bocca degli avventori del bar, uomini di ogni razza e saggezza, ciascuno con la sua paranoia; ricordi e amare conclusioni causticamente sbarrano la porta dell’anima alla speranza, inchiodando al bancone i diavoli della città, gli avanzi del giorno, gli scarti dell’immonda immondizia che popolano le strade della regina d’America. Un giro di vite, un valzer negli inferi, una roulette russa dove ci scappa pure il morto: questa è Hollywood, pellicola di carni, saliva, sangue e sudore, dove spiriti irridenti, cialtroni e meravigliosi non si stancano di ridere e piangere di se stessi, trascinando il lettore in uno slancio violento dritto al cuore della terra.

“Frankenstein”:  buttarsi nella lettura di questo romanzo è concedersi un tuffo negli angoli bui dell’animo umano attraverso lo spirito, immutato, di due “mostri” letterari. Un Frankenstein e un Dracula attuali, odierni, come non si sono mai letti. Certo, si corre il rischio di essere riduttivi definendo quest’opera una semplice rivisitazione del romanzo di Mary Shelley: il Frankenstein di Stefano Falotico va ben oltre, ricrea il mito donandogli anima nuova e sentimenti moderni. Giocando con le parole, sfruttando in pieno le potenzialità di un linguaggio ricco di sfaccettature, giostrando le lettere, smuovendo significati, l’autore crea di nuovo il personaggio e la sua storia. Il risultato è un romanzo che ha il ritmo musicale della poesia e una poesia che acquista lo spessore del romanzo; la stessa suggestione accompagna anche il breve racconto che precede Frankenstein, un Dracula che si fa leggere con gli occhi di oggi. Eppure il fascino e lo spessore dei due “eroi” rimane estremamente fedele all’originale. Uno stile innovativo per due miti letterari, un mix che lascia aperte mille porte all’interpretazione, affidando al lettore un ruolo di assoluto protagonismo.

“Noir Nightmare”: Sono Freddy, Freddy Krueger, e uccido i vostri “bambini” nel sonno, nel letargo in queste vostre tane che respiran solo di claustrofobica “iride” già corrosa nel deserto d’ogni slancio, avvoltolati in nylon che han “obliterato”, patetici e laconici, un perpetuo, incurabile agone che vi sventrerà in tutti gli ”istanti”, nelle vostre sempre più rattrappite distanze non cucibili, di dolori sempre soffusi, “impuffati” nelle abbuffate “crassone”, intimoriti nella reticenza che n’è omertosa, artefatta “recitazione”, per non “patire” neppure il Piacere…

Parole e pensieri s’immergono in un’arcana fonte battesimale per uscirne ripuliti da falsità e ipocrisie, intrisi e appesantiti di denso significato, lucenti di virtuosa temerarietà. Una lettura notturna, piena e misteriosa come la luna.

 

 

Stefano Falotico ha pubblicato “Noir Nightmare – L’ombra blu del fantasma”

Lo straordinario esistenzialismo di un Uomo leggendario

Ventricoli alla “rinfusa” di fuse accorate a un ventre che s’obnubilò, di boati “lagrimò”, intrecciato a una mistica incendiara d’imbruniti riflessi e arcane libagioni, soffuse nei teneri liquori di “spigliata” oscurità, buio inacchetabile, assetato di Luce nelle profonde maree di Lune oscillanti, pagliaccesche di beffardo Cuore alla Georges Méliès.
Quando un razzo scheggerà anche le vostre anime, illuminandole di magia e lindi ardori nelle iridi che s’appannarono di troppe palpebre assonnate, “appartate” nelle prigioni dei sensi.

Passeggerei nudo per strada, e m’addobbo solo per non incupirmi nello “spogliarello” d’una massa “farfallona” d’impiegatizio incravattar il “sospiro” della gola.
Soffocati dentro, “appariscenti” di soliti rituali per ingraziarsi facili applausi retorici, “telecomandati”, sospettabili di falsità e e mendacissimo buonismo sdolcinato.

“Svenevolezze” e la solita smorfia di smanceria. “Macerati” soltanto, solitari in una foll(i)a che li corteggia e li carezza di lusinghe ipocrite. Ma paion “appaiarsi felici”, e appagarsi di tal “letizie feline”. E tutto (s)corre, maratoneti della superficialissima corrività. Manichei col coltello dalla par()ete del manico “(s)par(l)ato”.

No, le mie scelte di vita han gioito di notti bislacchissime e adamantine senza prostituirmi mai nello schiavismo da facili lacchè. Quelli che son contenti… “a conti fatti”. Quanta insoddisfazione. Ammettelo, disfatevene. Non sbuffate e non “stufatevi”.

Tanto non cambierete mai. Arrivisti per amarezze ipocondriache, malati immaginari, “saggi” dell’ultima ora della “scatologia” triviale di battutina volgare, appunto, “cotta” di “ricotte” per “stemperare” l’idiozia di fondo che “raschia i barili” della bile soprattutto, della carne in scatola “cranica” di teste appallottolate nel “mito” delle “palle”.

Oh, ma che “attributi”, io vi tributo sempre un “No” perentorio e ingrato, “sgradito” che scardina e scoordina le vostre certezze aggrappate sempre a manuali di psicologia spicciola(ta) di “cioccolate” e forme fisiche esteticamente “attraenti” quanto repellenti. Pelli, sì, (s)tirate “a lucido”, nel “look” che strizza l’occhio per piacere a uno più brutto di voi. Nel dentro che avete ucciso da tantissimo Tempo.

Lotte intestine, politicanti corrotti, “cerotti”, cerume, già.
E il solito balletto ove si sfoggiano inamidate facce d’emozioni bugiarde.

In questo posto, deputato all’isteria collettiva, dunque deturpato, sommerso in modo “sommesso” nel chiasso, “innalzato” alle tribali maldicenze e al luogo comune delle immonde dicerie, un Uomo è venuto a voi in segno di Pace.

Dilaniando le bugie, da Joker che brinda sotto i ponti.
Egli è favola sua eccelsa e cosmica cometa che vi libererà dal dolore e da ogni trauma.

Lo chiamano “Il più grande di tutti”.
Poiché lo è.
Eternamente…

Noir

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Taxi Driver (1976)
  2. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno (2012)
  3. Apocalypse Now (1979)
  4. The Master (2012)

 

Dedica a Simone Emiliani, direttore di “Sentieri Selvaggi”:

Simone, il Falotico veleggia su splendidi lidi notturni, in “dormiveglia” sempre all’erta, fra sonetti di Shakespeare, “allunaggi” appunto anche, al solito, irriverenti, guascona euforia ammantata in mantello brillantissimo in cui mi pavone

ggio da attore di carisma innatissimo e “insonne”, aquila nella foschia, tremor per i benpensanti con retoriche da oratorio, amante sopraffino di sublime integrità morale alla Clint Eastwood, “orrorificissimo” nei deliri di Stephen King e del Maestro Wes Craven, e medioevale spadaccino d’una Excalibur dal Graal oggi “deriso” eppur da ricerca dell’arca perduta. Sì, Indiana Jones del Cuore, esploratore di “acustici”, limpidi nitori, ultrasuono “impercettibile” in un Mondo di matti e zombi, è qui con la sua nuova opera “decadente” da poeta parigino e di “guglie” in testa.Complimenti Simone. Lei, cioè tu, sei un grande come me. Infatti, oggi sei il direttore di “Sentieri Selvaggi”. E io avevo visto giusto, come sempre… “purtroppo” ho sempre ragione, e i fessi mi “perseguitarono” di torti e “torte in faccia” e patiscon oggi il rimorso d’un genio incompreso che è ritornato, di magnificenza, in auge. Nell’Altissimo!L’ombra blu, o solo ombra del fantasma? Nel Filoonline… anche in eBook.

 

“Nel neo(n) delle nostre avventure”, il fantasmagorico libro di Stefano Falotico e Davide Stanzione

Talvolta, nascono dei personaggi al di fuori d’ogni schema. Assolutamente bizzarri quanto magnifici. In quest’”assordante” (e aggiungerei sordissima) umanità, nell’eclettismo goticamente romantico, perdutamente infatuati del Cinema e della sua invincibile, lucente Bellezza, facciam capolino nell’inetta asfissia del “traffico” tanto “moderno” quanto poco aggraziato di vere innovazioni, soprattutto culturali.

Tutti presi da obblighi “onerosi” ed “esosi”, a dimenticarsi troppo in fretta delle ancestrali nostre origini da uomini, appunto, umanistici. “Preoccupati” soprattutto a coccolare l’anima, a issarla nelle glorie accese e “dinamitarde” del vento, della Luna, degli “ingranaggi”della poesia e della sconfinata, immane immaginazione, per altri solo appunto, oggi come oggi (ieri, però si pensava al domani…), arrugginita, annoiata, “arrotata”, avvitata, dunque avvilita e “annodata”.

Così, due “spauracchi”, forse senza “parte” ma innervati di sublime, incantatoria Arte sopraffina, han “casualmente” incrociato i loro destini proprio qui, su “Cinerepublic”, base elegante dal fascino ammaliantissimo, ammantato e forte da Obi-Wan Kenobi. Che sia il mantello di Alec Guinness o la spada azzurra-”rosso vita” del gagliardo e quindi purpureo Ewan McGregor, è energia ugualmente.
L’”entropia” da flusso canalizzatore della più potente “fantascienza” mentale, brandita con originalità, intrepidezza, dal fascino “esotico” e cavalleresco di memoria adesso “deturpata”, Excalibur tradita e lirica smarrita.

Questi due guerrieri, di antiche e fastose mitologie, sono Stefano Falotico e Davide Eustachio Stanzione. Che voi conosce(re)te bene in questo seducente luogo, sotto i nick di Travis Bickle 1979 e davidestanzione, ecco…

Siamo ragazzi che non vogliamo “crescere” o probabilmente troppo avanti per arrenderci…

Sì, “eterei” Peter Pan da “bambini” nel Tempo con la saggezza dei maestri da cui captiamo e apprendiamo per non “rapprenderci” e ammuffirci.

No, non siamo degli ammutinati al navigar “spensierati”, ché poco pensare e amare intorpidisce la gioia del Cuore.

Come James Matthew Barrie nella mia “finding Neverland”, contattai Davide per imbastire un’altra strepitosa, indimenticabile Notte vigorosa.

Inizialmente un po’ scettico, Davide “storse” il naso (e anche la bocca…), non credendo molto che fosse (im)possibile.

Ma il progetto è andato avanti a gonfie vele, come sovente si suol dire.
Solcando i mari d’inesplorate pulsioni letterarie ed abbaglianti, stordenti, incontaminate emozioni.

Dal “nulla”, per miracolo… è scaturito, e il da(r)do è stato tratto, come nelle favole medioevali.

La nostra vetrina d’autore si creò… e (ri)generò.

 

Omaggiando, distintamente, alcuni storici capolavori, a nostro avviso ancora da incensare d’incessante infinitezza.

Nella nostra lucida (quarta di) copertina…

Così, entrambi innamorati della stessa Donna, forse la Winona Ryder “tatuaggio” delle avvenenze maliarde, una Donna di nome Cinema, seduzione irresistibile, scendiamo nella grotta dei nostri desideri, e verghiamo, nel magma sotterraneo di purezze, forse oggi perdute, la sanguigna nostra ode alla fantastica magia del Sogno, un Sogno che rifulgerà sempre nello scalpitio inarrestabile dei nostri ventricoli più fastosi

 

 

E da un neo (chissà “deniriano”?) siamo arrivati a un’opera compiuta.

Tutto ciò è pazzesco e allucinante?

Non credo…

Lo acquistiamo?

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Un falco nella Notte, non acchiappabile, mettiamola così, quasi etereo, come la luccicanza di anime in viaggio. Questo è Sean, gli elementi indivisibili della Natura, con la quale si fonde. Aspirandone la vita, la imprigiona nei suoi occhi, la sente. La canalizza nelle vie respiratorie sino a deflagrarla nei gesti, nella passione, nel Cuore. Da lontano, osserva. Storie di uomini “veri”, ribelli per necessità, perché crollano i nervi e tutto il resto con loro. Una paralisi emotiva, che “comatizza”. Qualche frase di troppo, un pugno, un livido, dolori fisici e intestinali.

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