La maschera di Edgar Allan Poe

di Stefano Falotico

Ode al maestro Poe, ode a me, suo erede designato da un cupo destino ingrato quanto gradito

Ode al maestro Poe, ode a me, suo erede designato da un cupo destino ingrato quanto gradito

Va’ ove ti porta Edgar e non rammaricarti se, un giorno, le pene dell’inferno patirai, Allan è poeta e conosce il pozzo e il pendolo perché da pazzo fu pendolare della sua anima sempre penzolante. Angosciata fra stati depressivi in cui toccò il settimo cielo d’una melanconia tanto alta da elevarlo lassù nell’empireo celest(ial)e, imbarcando acqua al piacer poco provato del toccarla… fra s(p)-onde mansuete insondabili, sottili e sobrie, poi tumultuose e rabbrividenti d’un destino fatalmente infausto da suo febbrile, emozional viversi magicamente come la melodia d’un dolce, romantico flauto magico, spesso poco (in)felice con una donna a desinare ma mai asino fra le mule e soprattutto da molti emulato eppur mai nessun scrisse in modo così cup(id)amente ammal(i)ante. Animoso, cari animali. Lui, lontano dalla società degli animali, appunt(it)o, quindi come me, animistico a celebrar il lunar battito alato, di cuore accelerante per guardar sempre più avanti, ampliando ogni orizzonte limitante bensì un(i)tamente d’espanderci nel bacio alla grandezza assoluta e a ogni ora più svettante, cari nostri cani(ni) uniforma(n)ti. Oggi, una cima, domani scaleremo altre montagne, attingendo a sacre sorgenti rigeneranti, e affonderemo tutti gli uomini dalle mentalità frenanti ché, volendo far tristemente franare i nostri sogni, partorirono sol un effetto contrario a noi invece sortente, oniricamente più solare e gioiosamente delirante, la frenetica sorgente sgorgante, chiamata pura vita. Anche leggermente strafottente. Sì, privilegiamo ancor le liete nostre cupe notti da lupi. Addoloratevi pure, ché ci considererete matti e martiri, a noi frega poco dei vostri giochi carnali. Siamo tristi? No, siamo tenebrosi e poco teneri con chi non ama le tene(b)re.

Sì, Edgar era malato di troppa umanità e, dalle sue pagine immemori, ancor si tocca, con mano dell’animo nostro affil(i)ato, l’emanazione di tal mal(att)ìa a valore paradossalmente fortificante del farci sentire, nella paura profonda, più vivi e non vegetali. Effondetevi in lui, issatelo in gloria.

Edgar l’insuperabile, veloce e squittente, imprendibile e suadente, “gelato” d’incubi al pistacchio, colorati di scaglie di cioccolato duro a spezzar i nostri denti da lupi in una cremosità a(l)te(r)a, (ef)fusa in vi(s)ta nuda e cruda. Leccante il gusto al “nocciolo” dell’incognita per la quale ci cibiamo, nonostante la putredine divori le anime dei (sin)ceri, bruciandole d’essiccazione forse solo (ri)tergente in nuova alba d’er(o)i ché ieri è già un profetico (do)ma(n)i. Egli, il soliloquio vivente anche da postumo, che nel suo cuor, mai a nessuna stolta regola prostituitosi, respirò mille sogni nascosti e, dai sepolcri apparentemente morti, dimenticati e immemori, si vivifica invece potente ogni qualvolta sfogliamo la tene(b)ra cer(e)a dei suoi racconti. C’era una (s)volta… e vi furon, mai defunte però, ere da guglie gotiche su sua pallida gota nel cantar in solitudine la bellezza della nera gola tetra. S’incenerì da nottambulo a spegner la realtà e a lubrificarla in cotanto ingegnoso, contagioso reinventarla, immaginando cascate zampillanti di discese nel Maelström avide, mastodontiche, fulminee e succhianti l’aroma del mar fenomenale dalle avvinghianti, terrificanti, abissali voragini.

Come Edgar, qui (ri)nato sempre, (t)remante nelle mie paure latenti di cui m’allattò lietamente e profetico mi allettò, baciandolo in grazia di me (ri)to(r)nante come un mostro di Loch Ness dalle riapparizioni misteriche. Gemendo in me, da tempo immemorabile, ché neppur so quando nacqui e mai morirò, comunque, vivo il mio (co)raggio lunatico sempre nell’altrove vi(b)rante come un licantropo che, durante il più buio plenilunio, ulula ringhiante la forza frastornante del mio fragore animistico, sì, ancora, in quanto son puro diamante e limo i miei grezzi lineamenti, se troppo s’adiran da orso grizzly, scendendo le scale delle sacre montagne d’una mia re(li)gione acu(i)ta nel mal di vivere così però furentemente bello, (in)toccabile di letizia e ca(re)zz(at)o da mille stupende tizie in me di empatia e pene…

Se non ti piaccio, non sei obbligato a leggermi. Se ti piaccio, dammi un bacio e vedrai che ti piacerà anche alt(r)o!

Molti chiedono in giro chi io davvero sia.

Ottengono sempre la stessa risposta. Nessuno da dove io stia, perché il Maestro è come Edgar.

Non è mai nato, ma è il più grande.
Se qualcuno vuol fargli male, quel qualcuno piange.
Eppur tutti e soprattutto tutte lo amano.

Si chiama duro colpo alle cattive coscienze marce e anche alle belle mele mie belanti.

Sono bello. Sono bravo. Se ti sto antipatico, sparati.

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