SPECULARE IPNOSI, il mio nuovo libro

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Vergato nel fuoco sacro della nostra passione sanguigna.

Io e te che stipulammo un immortale e purpureo patto inestirpabile.

Tu, che leccasti il mio sangue sgorgante dal mio torso nudo da te lievemente ferito per bere e succhiare lo scalpitante ardore nitrente del nostro irrequieto, mastodontico amore imbizzarritosi di piacere infinitamente imponente. Ne leccasti ogni goccia a te versata e io sorseggiai parimenti, come vino pregiato e delicatamente rosato, ogni globulo rosso scivolante da una microscopica lesione a te da me inferta con un mio dolcissimo, romantico morso tagliente.

Dedicato a noi che, assieme inscindibilmente, gusteremo eternamente ogni piacere della nostra passione incendiaria e turbinosamente ardente.

Tu, che forse dalla finestra, malinconicamente desiderosa di riscoprire i tuoi abissali e micidiali, sepolti, sensuali desideri immacolatamente sommersisi per troppo tempo, incantevolmente osservasti fuori nella speranza che un uomo bello e maledetto a te si consacrasse per un amore struggente, ruggendo assieme a lui nella rinascenza impavida d’un amore imperituro e magicamente fatale, carnalmente trascendente, liberamente tonitruante e onnipotente.

Sin dapprincipio, la sua insuperabile venustà mi trafisse l’anima, irradiandola d’estasi impari.

Ciò che, in modo furibondo, m’attrasse di lei fu la sua sfacciata spudoratezza, la volgare sfacciataggine della sua immane bellezza.

Talmente autentica nella cristallina levigatezza delle sue longilinee e muscolose gambe toniche vivamente esposte in tutta la furente carica erotica dell’incarnata sua sublime, irraggiungibile freschezza, d’avermi ipnotizzato maledettamente in un furioso sogno mesmerico. Tanto magnifico quanto tremendo.

Io, principe spesso onirico della metafisica in me innata ché m’abbandonai, moralmente smarrito e oramai remoto da ogni lussuriosa brama, nel perpetuo estinguere la vividezza mia congenitamente sacra, rimanendo scioccamente folgorato dalla superba, intrepida potenza invereconda del suo letale sorriso da donna bionda seduttivamente perversa, maliarda e gioconda.

Ilare e talmente schiettamente bella da possedere il cuore di un uomo, perpetuamente traviandolo e distruggendo ogni suo vigoroso, resiliente, incedibile pudore con morbosa crudezza.

Mi persi nel vagheggiare di baciarla, leccando ogni sua intima prelibatezza per amarla con dolce delicatezza, assaggiandone ogni goduta morbidezza.

Ah, che stupido moribondo fui a sverginare la purezza della mia anima innocentemente linda, innamorandomi del suo disinibito e sconcio essermi apparsa

Vergato nel fuoco sacro della nostra passione sanguigna.

Io e te che stipulammo un immortale e purpureo patto inestirpabile.

Tu, che leccasti il mio sangue sgorgante dal mio torso nudo da te lievemente ferito per bere e succhiare lo scalpitante ardore nitrente del nostro irrequieto, mastodontico amore imbizzarritosi di piacere infinitamente imponente. Ne leccasti ogni goccia a te versata e io sorseggiai parimenti, come vino pregiato e delicatamente rosato, ogni globulo rosso scivolante da una microscopica lesione a te da me inferta con un mio dolcissimo, romantico morso tagliente.

Dedicato a noi che, assieme inscindibilmente, gusteremo eternamente ogni piacere della nostra passione incendiaria e turbinosamente ardente.

Tu, che forse dalla finestra, malinconicamente desiderosa di riscoprire i tuoi abissali e micidiali, sepolti, sensuali desideri immacolatamente sommersisi per troppo tempo, incantevolmente osservasti fuori nella speranza che un uomo bello e maledetto a te si consacrasse per un amore struggente, ruggendo assieme a lui nella rinascenza impavida d’un amore imperituro e magicamente fatale, carnalmente trascendente, liberamente tonitruante e onnipotente.

Sin dapprincipio, la sua insuperabile venustà mi trafisse l’anima, irradiandola d’estasi impari.

Ciò che, in modo furibondo, m’attrasse di lei fu la sua sfacciata spudoratezza, la volgare sfacciataggine della sua immane bellezza.

Talmente autentica nella cristallina levigatezza delle sue longilinee e muscolose gambe toniche vivamente esposte in tutta la furente carica erotica dell’incarnata sua sublime, irraggiungibile freschezza, d’avermi ipnotizzato maledettamente in un furioso sogno mesmerico. Tanto magnifico quanto tremendo.

Io, principe spesso onirico della metafisica in me innata ché m’abbandonai, moralmente smarrito e oramai remoto da ogni lussuriosa brama, nel perpetuo estinguere la vividezza mia congenitamente sacra, rimanendo scioccamente folgorato dalla superba, intrepida potenza invereconda del suo letale sorriso da donna bionda seduttivamente perversa, maliarda e gioconda.

Ilare e talmente schiettamente bella da possedere il cuore di un uomo, perpetuamente traviandolo e distruggendo ogni suo vigoroso, resiliente, incedibile pudore con morbosa crudezza.

Mi persi nel vagheggiare di baciarla, leccando ogni sua intima prelibatezza per amarla con dolce delicatezza, assaggiandone ogni goduta morbidezza.

Ah, che stupido moribondo fui a sverginare la purezza della mia anima innocentemente linda, innamorandomi del suo disinibito e sconcio essermi apparsa magicamente durante una notte di luna piena, irrequietamente sognandola e inseguendola follemente lungo le strade più luride e scure di questo nostro avvelenato, malsano mondo infetto.

Sì, durante il plenilunio d’una notte torbida, torvamente l’adocchiai mentre lei passeggiava lungo il viale del mio periferico quartiere fatiscente.

Sarà stata forse mezzanotte e dintorni e nessun’anima viva avvistai a me attorno.

Al che, da un angolo buio, spuntò lei, frastornandomi nottetempo.

Stupendamente sensuale e provocante.

Di nero vestita, slanciatissima e con la sua folta criniera platinata da regina nera di quelle che sarebbero state, da allora in poi, le mie notti assatanate e torbide, macabre e virulente. Sì, irredimibili e sataniche. Impietosamente travolgenti.

Indossava soltanto una minigonna e, attillatamente inguainata da collant lisci come la seta più pregiata, ergendosi su vertiginosi tacchi a spillo irresistibili, con passo felpato da leonessa incontrastata, mi s’avvicinò quattamente, indisturbata.

Nel frattempo, osservai sempre più appieno le sue cangevoli iridi magnetiche. Già da lei concupito, avvolto nella brama e nella brace della sua seduzione perpetratami e indottami dall’immorale trappola, da lei profusami e scagliata, della sua irrefrenabile superbia indomita e inusitata.

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