Mister Atlantic City

Mister Atlantic City

Mister Atlantic City, un mio romanzo che, di convergenze cinematografiche e letterarie, omaggia i grandi classici della Settima Arte

Ebbene, ho pubblicato un altro libro. Perché, in quanto prolifico come un vulcano sempr’eruttivo, mai domo, affamato di laviche emozioni, so sciogliermi a calor della brace della mia stilografica “futurista” immersa nella tastiera ergonomica dell’uomo cavalcante sempre poderosi, lindi e titanici lidi mentali e, a “sommersione-riemersione” di potenti crepitii del mio cuore ardimentoso, tagliandolo di ferite brade a sacral radice della mia romantica coscienza sapidamente naufraga nei sogni al fin che mai si spenga nella lascivia robotica dei morti viventi, gemo e germinerò sempre nel partorire nuove opere splendenti. Poiché l’uomo adattatosi all’abitudinaria pigrizia della routine giornaliera, prima o poi, s’accascia e perde i colpi. Mentre io metto a segno, per via delle mie (termo)dinamiche accorate all’anima turbolenta, scalciantissima e vivida come un diamante però con qualche grezzo angolo non smussato e non lo smusserò, mio “musetto” borghesuccio, in quanto la perfezione è solo l’utopia degli stolti, sì, metto a segno “pugni” di rinomanza stilistica degna dei grandi combattenti, intarsiati in una prosa ribalda, “pugilistica”, veloce e squittente come l’enorme Muhammad Alì, rapida come un gancio sinistro di Rocky Balboa a stenderti quando meno te l’aspettavi, poi schietta in retroguardia a parar i fendenti dei furbi e quindi via ancora di scaltrezza a imprendibile agganciarti e, sganciandomi dalle regole vetuste del tradizionalismo barboso, infierir sui vili mai creativi per ascender paradisiaco nell’empireo dei fighter della propria anima da falchi, un’anima intrepida, selvaggia, giammai stanca. Mi affrangerete con assalti indignitosi al mio decoro dietro le facili offese da chi si “batte” in una vita (s)comoda da impiegatini ma rafforzerete soltanto giocoforza, ah ah, il mio orgoglioso, sempre più agguerrito cantar fuori da ogni corte da damerini. Io, sì, conquisto la mia dama cantandole serenate fuori da lunghi nasoni vostri di gambe corte in bugie ipocrite e nel mio corale abbracciare quelli come me, come Nick Joad. Protagonista di questa triste, virtuosa, funambolica, precipitevolissimevolmente gagliarda favola nera dolceamara, da cantastorie come Bruce Springsteen.

Ecco la sinossi, chi non la capisce o, peggio, non vuol capirla così come s’ostina a volermi buttar al tappeto fingendo di non capirmi, è sol che un asino che io invece “carpisco” al volo e di jet getto al tappeto. Ring(hiando) da eye of the tiger, in quanto io sono il Survivor! Ti rigetterò sempre, villano, gettandomi nella mischia a mia grinta muscolosa!

Notte aromatica, non so se romantica. Tempestata da corvi che, sventolanti nell’alto dei cieli, il loro roseo ma ambiguo colorito, gracchiarono morendo sugli occhi appisolati degli avventori d’un bar.

Nick Joad, forse il fratello titanico del fantasma d’una celeberrima canzone di Bruce Springsteen, l’uomo che vive d’un sogno a occhi aperti, o di un roboante, fervido incubo. Il suo incubo migliore sarà sfidare il proprio demone ad Atlantic City. Un eterno duello che lo tormenta ma, nella sua pelle turbolenta, Nick Joad respira nel vento. Pugile in perenne, interminabile attesa. Ché il cielo delle sue ansie e dei suoi imperscrutabili patimenti, lastrato d’una visione salubre di gioia salvifica, miracoloso restauri l’antico, indelebile torto. E volerà paradisiaco ad agguantare la sua preda, laddove gli apparì diabolica di lungo, perturbante, angoscioso sonno immortale.

 

E ora, solo per voi, amici miei prodi, in “omaggio” l’introduzione più in regalo tutto il capitolo uno…

Eh sì, bando ai vigliacchi, qui si respira forza librante issante il coraggio dei vinti e dunque di chi lotta sfrenatamente per (av)vincere senza mai dar(si) tregua.

Le sponde inebrianti delle stagioni aride dell’amore s’intinsero nelle fosche scremature dei più furenti e bruni tramonti. Ove l’oceano lecca le palpebre agonizzanti dei suoi squali, l’intorbidisce in fluidi venosi d’ondosa riva marina combaciante con l’America tutta. Le aquile sventolano profumate il pallore degli indiani uccisi dallo storico massacro e i virtuosi piangono gli eroi crollati in battaglia. Nel putiferio di quell’infuocante morsa, i clandestini del loro sbilenco destino combattono agguerriti nelle palestre d’epocali dolori mai avvinti.

E le iridi si tergeranno sanguinanti nella catarsi sognante di Atlantic City?

On city by the sea,

revenge is a dark match

bigger than life

1.

Il crocevia del bieco plenilunio opaco

Notte aromatica, non so se romantica. Tempestata da corvi che, sventolanti nell’alto dei cieli il loro roseo ma ambiguo colorito, gracchiarono morendo sugli occhi appisolati degli avventori d’un bar. Quasi tutti macilenti, così come gli abitanti di quella spuria locanda. Arsa in alcol a me indigesto o forse troppo piacevole alle labbra. Spugne ch’espugnereste dal vostro raggio visivo, ma che mi strizzan di fegato simpatico, la loro bocca traboccherà sempre assieme al mio gaudio in euforico brindar con loro al piacere di deglutirci così. Come siamo. Gonzi ed avventurieri, eroi di un’era da cavalieri. Forse, ad Alcatraz, ove mi dissero che un certo Clint evase profetico al motto apocalittico d’un miracolo liberatorio. O qui, in questa latrina delle merde fatte cazzoni.

Un postaccio, pieno di rancori e lotte vanagloriose da falliti a malincuore di nostalgia che non so che effetto fa. Ove quando ci s’ubriaca, l’esistenza si fa ancora più amara perché è lucida di verità a sputarsela in viso. Incagniti, stronzi, con dei chili da svuotare dalle palle aggressive contro la moscezza che a me fa ribrezzo. E la brezza là fuori…

Poi, il mio occhio posa la vista sull’unico tizio davvero ancor sveglio e vispo. Robusto, sbronzo anche lui ma decorosamente pregno di whisky. Che dà proprio nell’occhio. Uno che ti conviene non prender a botte e che non borbotta, soprattutto.

Gli specchi viaggiano laconici su ombre marmoree di cadaveri nostri dei tempi ignoti…

Perdonate tale mia digressione che, scalando le vette umorali della mia astrusa e bellissima astrazione, così accigliato mi rivolgo allo sguardo del nostro beniamino, non so se amato o se lo amerete come io ora me ne son già innamorato. Qui, fra questi mesti, turbolenti liquori, vago d’occhi perlustranti l’invaghirmi d’anima appaiata a quest’uomo strano. Casualità degli incroci.

Cosa scorgo di lui? Un torturatore forse della sua psiche, un commovente camaleonte che indossa fiera pelle di serpente e si muove, anche fermo, sibillino di sigarette Chesterfield fumate di traverso, come un verme che ha la dignità del suo portamento, altezzoso, singhiozzante il rancido di tutto quello che avrà visto, come te o me, assieme festosi siam tutti perdenti di razza, e pendiamo da quel che sarà una vita di secchiate di stronzi.

Caparbio? Per il cazzo. Fresco di rasatura. Neanche per il culo della camicia non sfondata. Secco. No? Grosso come i muscoli d’un greco Dio vestito di pugni lesti in zigomi di cuoio e mente veloce come un raptor.

Mi ricorda, non so perché, Marlon Brando di Apocalypse…

Per come il suo volto, maturo e incassato in un corpaccione quasi spiritualmente intoccabile, vetustà immane da Dio inviolabile, si raggruma tutto nella potenza ferina eppur angelica d’occhi nerissimi. Come se, alla nascita, sin dal suo primo fiero e fievole respiro, fosse stato baciato da un cherubino. Un dipinto dell’astrazione sua e della mia così stramba immaginazione?

Sì, sta seduto, beve come una spugna ma par non accusare nessun colpo. Come se fosse davvero impenetrabile, un fantasma fra tanti spettri, fra tante ombre e luci, soprattutto sue. Tramontante ma sopravvissuto a qualcosa. Come se stesse celando qualcosa, come se nella sua anima racchiudesse un mistero che va oltre la segretezza della sua figura ectoplasmatica, del suo ombroso figuro.

Taciturno, zittissimo, beve, continua a bere e pare che se ne freghi.

Poi, accenna al barista, con un cenno impercettibile, altro…

E, mentre smuove le labbra in un vedo-non vedo di labiale perfettamente invisibile, sembra che stia pronunciando ciò… udite bene, aprite le orecchie per intenderlo…

Il suono nostalgico di qualcosa ch’è andato perso e non tornerà, non può tornare né credo voglia(te) che torni.

Un rapimento della mistica delle sue ermetiche, impressionanti iridi. Accigliate, alla torva simmetria rugosa d’una fronte spaziosa, come la vastità imperturbabile di Brando…

Mormorante al gregge di pecore… venite a me, ungendo le mani non caste degli sconci peccati di cui l’umanità sempre si macchierà. Marceremo, non marci ma illuminati dal chiarore evanescente della soave limpidità, attraverso le tenebre di questa folle umanità me(ge)ra. In congiunzione con la ricerca parsimoniosa d’alte, via via più spiccate, nostre nevrosi. Iridescenti ai baci nel marmo cheto del ruscello nostro a superbia dell’elevata divinazione. In nowhere, navigheremo d’ere eroiche, d’intrepidezza feroce. Genesi d’ogni orgoglioso amore divelto dall’averlo arso nell’apparente aridità ch’è invece divinità. Gemendo genuflessi, piangeremo prima, io già piansi e maestro vi tergerò la pioggia lacrimosa come la carezza di Dio alla Madonna, poi, inchinati all’osannante celebrarci addolorati, vivremo e vivrete sazi. Perché, solamente nell’empia essenza della profonda vacuità, noi e voi saremo felici ed eter(n)i.

Disgiunti dalla frenetica goliardia d’un Pianeta già invaso, alle origini erronee della scintilla mostruosa, da quel disgustoso invero amarsi finto che io combatterò sin da quando decisi di vincerlo e non perire dietro l’illusoria vitalità di tale putrida e rivoltante, triviale viltà.

In tanti tentarono di dissuadere questa mia visione della vita, tacciandomi di follia, ma io son ancora più convinto d’ancorarmi alla psicosi totale, a istruzione delle autodistruzioni nostre.

Io ho sempre odiato, sin dall’età del discernimento della prima adolescenza a me già foriera d’elevatezza grandiosa, ciò che volli e vorrò con infermabile volontà crescente.

L’ascesi di quella che chiamate, con enorme altra spaventevole superficialità, pazzia.

Io vi vedo invece la forza del tuono più acuminante e universale, ché Dio si nasconderebbe per la vergogna d’aver solo osato pensare di crearmi.

Io odio, perché nacqui diverso dalle vostre carni, e quindi insisto nella repellenza oscena. Con incredibile spirito di sacro affrangermi perché soltanto soffrendo io vivo.

Il resto è la vostra merdosa sopravvivenza. Ché oggi avrete da lamentarvi per altre inezie e domani vi crogiolerete alle ridicole rugiade delle vostre commozioni. Emozionali soltanto all’unta, presuntuosa sapienza dei po(ve)ri.

 

Questo è Nick Joad, questo è il suo nome. L’avrei imparato molto tempo dopo ma nel frattempo questo era, così almeno appariva. Un’aura di seducente, ammaliante ingombrarlo del suo stesso personaggio, avvolto nell’ombra dei suoi contorni.

In mezzo ai morti, o forse lui il primo morto ma vivo, almeno.

Poi, devo dirvi subito un altro paio di cose. Dietro questa maschera da tiratardi e gaglioffo bastardello, ravviso un uomo scacciapensieri. Avete letto bene. Uno di quei tizi che sarebbe meglio evitare, non incrociare ma che… se ti caccia un pugno piazzato, il resto è sconquasso e gran applausi.

Scroscianti.

 

Firmato naturalmente Stefano Falotico

Nicolas Cage, l’attore vampiro

Nic

Il grande Nic, lunga vita a Nic!

 

Nic, il versatile, imprendibile mutante… torturanti emozioni lo grattano, raschiando il suo sanguigno istinto a esuberanza talora volgare ma madida delle sue interiora vivide e sudanti…
Nicolas Cage, amato, odiato, disprezzato da molti vili detrattori, osannato, beniamino per gli eletti che sempre lo apprezzeranno, criticato, discusso, controverso, spesso al centro dell’attenzione, futilmente onnipresente anche quando non necessario, comunque sia, che piaccia o meno, un attore capitale degli ultimi trent’anni del Cinema contemporaneo. Presenza, sì, persistente, imprescindibile, fondamentale, irrinunciabile, che non si può assolutamente trascurare, perfino invasiva e talvolta disturbante, importante, focale, un folle performer ingiuriato, bistrattato, molte volte enormemente sottovalutato a causa dell’invidia alla sua grandezza, Nicolas Cage è l’incarnazione del camaleontico, bizzarro corpus attoriale nelle sue trasformazioni mimetiche più versatili, l’intensità malinconica d’uno sguardo languido e focoso, fulmineo e impetuoso anche nei suoi repentini, laceranti, esplosivi schizzi irosi da vigliacco, buffo e dunque simpatico, eccessivo gaglioffo quando, caricato, sberleffa sé stesso oppure, rannicchiato nel carisma della sua abbacinante, stordentissima unicità, fulgido se ne squama in pelle di serpente da cuore selvaggio d’avvincerci suadentemente a lui e squagliarcene, ammirandolo infinitamente, in quanto Nic è gioconda inimitabilità, qualsiasi cosa faccia col suo volto che non si può eludere, data la considerevole eccentricità, anche balzana ma potente, abrasiva, penetrante ferocità di un’arte personalissima.
Una retrospettiva saggistica, fortemente lirica, che non si pone l’obiettivo, oserei dire ottico, di passar al vaglio l’intera sua filmografia o di sviscerarla accademicamente, ma si sofferma a scandire i suoi ruoli più iconici e la seminale lor forza magnetica che Nic, come un vampiro famelico, ha propagato a suo addentare il soave nitrato d’argento. Ad abbrancarci dunque a suo morso succhiante l’ipnotico ammaliarcene. Svanendo in Nic, gioiamo esangui, sunti in affascinante adorarlo, prostrati a riverirlo e, chinati ai suoi cinematografici comandamenti, in gloria elevarlo.

True Detective poesia

Il cadavere di Dracula

Addentando la vita nel suo romanticismo sanguinante

Addentando la vita nel suo romanticismo sanguinante

 

Il cadavere di Dracula: attraverso la mia nuovissima opera letteraria, decanto i sublimi migliori film sui vampiri della Storia del Cinematografo, come il Principe Vlad ritornato giovane di total bellezza

Ebbene sì, mutevole ancora, imprendibile come solo una scheggia fugace d’alt(e)re emozioni può essere nella sua stessa essenza impercettibile eppur palpabilissima di superlativo piumaggio all’anima dorata, il qui presente Falotico, nobile discendente d’una casta principesca di giammai morti, a furor del suo popolo inneggiante l’arte amatoria più divina della fantasia nostra mai doma e sempre più rinomata, con splendido, superbo candore mac(i)ul(l)ato alla sua carnagione pura di limpidezza sovrana e da sovrano, ancor soverchiando ogni regola conformista del normale, abietto modus vivendi dei pigri vostri esseri quotidiani, affaccendati sempre dietro bieche piccinerie degne sol del mio stonarvi a carica d’intonazione irosa, quindi riscoccante il libertario grido della potenza virtuosa imm(ac)olata al cuore più focoso, agli eletti ha regalato un’altra perla di rara magnificenza, come vuole appunto la tradizione del Dracula mio intinto nella ferocia abrasiva della sua vetustà lucente, ché sol toccarlo sareste indotti nella tentazione di sbranarlo d’infiniti e ardenti baci inesausti, coprendone poi lussuriosamente il corpo di vivifico innalzarci, in suo, dunque mio e così vostro sfrenato romanticismo, smunto a perdizione elevata in trono nostro perpetuo da vincenti funamboli della poesia più gioconda, fatiscenti ieri nel nostro rifugio da imperdonabili peccatori e domani ancor desti domatori a risvegliarvi dal sonno mortale dei vivi già periti, perché noi, a mio armonioso canto, siamo i cavalieri dei nostri suadenti, eccitanti, inarrestabili “cadaveri” da chi dapprima fummo segregati nelle bare degli orrori oscenamente erronei, a cagione della forca caudina dei bugiardi e dei cinici, e ora qui marmorei, intoccabili nei fervori più svenevoli di grandiosità.

Noi siamo, a mio comando, i poeti del tempo conturbante, rinnovandoci a ogni alba giovante e ringiovanente, eclissati perché non vorremo mai putrefarci come voi altri, quindi transilvanici eroi errabondi nel viaggio imperscrutabile da altre (s)ere non tetre e impietosamente ai vili non più tenere, da scoprire con letizia e gioie da tenebrosi anche sessuali, divoranti, ieri plumbei perché immalinconiti, al nero tramontanti e nauseati dal tedio delle sin troppo sciocche e abusate frivolezze inutili giornaliere e fintamente solari, domani soavi nel flusso etereo e vitale delle nostre irresistibili anime purpuree prosternate solo al liscio, morbidissimo, suggente fornicarci sanguigno in magmi vellutati, risorgenti e floridi della vita tutta d’immane lode stupefacente.

Ebbene, miei fratelli della congrega, un altro libro di ben 288 pagine, nella versione cartacea, ho pubblicato. Sul Kindle di Amazon è già disponibile se volete scaricarvelo, salvo congruo ma modico compenso, che allieterebbe le mie tasche da “russo”, e molto presto, questione di ore, non disperate suvvia, potrete averlo, previo sempre “click” (oggi, esiste anche PayPal, forza…) di pagamento buono e giusto, in eBook, dunque corrispettivo… ePub da Pdf in vostro PC a mio racimolar qualche soldino per almeno un discreto caffè. Non siate veniali, le mie vene da Dracula van irrorate di “trasfusione” monetaria. Non siate piccini, prodigatevi per la ca(u)sa del mio castello, altrimenti  Dracula potrebbe pianger miseria, macerarsi in un ostello di me dai debiti, scevri di freno, macellato e franare, oh, che delitto commettereste, esecrabile e punibilissimo, e poi peggiorare da cattivo crist(ian)o che rifiuterà anche l’ostia più friabile, perché non riesce a digerire neanche quella…

Dracula è fragile. Come tutti quando non può mangiare, miei morti e non solo di fame.

Ah, il Sole scotta! Il “riso” è cotto?

Prima che sarà messo in vendita nelle maggiori catene librarie, annesso ibs.it, ricordiamovelo, sì sì, sul sito di questa spettacolare casa editrice di self publishing, potrete già comprarlo. Non sono un accattone, ma dovete accattarlo. Altrimenti, le vostre anime pagheranno lo scotto della maledizione da “Nosferatu”. Non tutti i Nosferatu son benedetti dal miracolo del risveglio. Quindi, uomini avvertiti, mezzi salvati, come dice il detto, qui italiano veracissimo e non tanto transilvanico di muschi e verdure, del tal proverbio a noi tutti “utile”, cioè… (sentite come sto cercando “occultamente” di persuadervi, ah ah, ridacchio con canini affilati che potrebbero cariarsi se non avrò gli Euro necessari almeno per una pulizia ai denti annuale), in poche parole, pane al pane, vino al vino, se no sarà solo pena e neanche il “pene”…, accattare!

Su, non fate i carnali. Dai, dai.

Non siate sciacalli. Non cannibalizzatemi!

A parte gli scherzi, a parte quello che non lo comprerà e peste lo coglierà, senza sconti alla “cassa”… da morto, sì, lo seppelliremo nudo e crudo, senza troppe “cerimonie” e bare abbellenti, caro “bello”, tale è la sinossi, sempre da me, il Dracula, scritta di acuminata un po’ incazzatura eppur elegante f(r)attura.

Masticate la bellezza di queste parole indimenticabili, da incorniciare, da bacheca a scansione eterna…

Il mio castello s’erge trionfante e agghindato di foschie perenni, accucciato in una valle disperata, immalinconita all’erosione eterea della mia nobile decadenza notturna.

 Mura sfavillanti di nera Luna impressa nel mesmerico profumo tenue e roccioso d’una pietra sacrale a perpetue folgori scagliate nell’antro di blasfema rinascenza…

Il mito di Dracula, attinto dal capostipite Bram Stoker e riletto in una versione sinuosa di liriche a glorificarne l’immortale Nosferatu. Creatura ancestrale, notturna, che al plenilunio danza coi lupi e con l’accorato romanticismo martoriato dalla morte della sua amatissima, mai dimenticata Mina. Dracula, imprigionato nel suo sarcofago, resusciterà in auge dall’antichità mefistofelica del suo corpo congelato, asperso in senile torpore gracchiante, per librarsi in svettante e risorgente furore, veleggiante coi suoi servi scudieri, al fine di sbarcare a Londra e poter riabbracciare la reincarnata sua eterna Mina… Un viaggio innanzitutto spirituale, una scandagliante esplorazione della sua anima, da un irredento, lungo sonno assopita nel buio del suo segreto eremo, per rifulgere solare o trafitta dall’insondabile balia dell’ingrato, maledetto, inestirpabile destino?

Ora, ho scritto balia e non oblio, e neppure bara, attenti!

A me non sfugge niente, ogni parola è studiata e calibrata con una precisione millimetrica e ferente, e qui ringrazio il mio correttore di bozze, radar vivente d’ogni refuso (in)visibile.

Ho scritto proprio balia. Sì, perché Dracula si “obnubilò” pur essendo nato nobile in quanto Iddio lo tradì e Mina, ingannata dai mori, si suicidò, distruggendo il suo core… ma Dracula, invero, non morì. Soltanto espiò, patì, si rattristì, si ritrasse, si ritirò, si rannicchiò e, dentro la ragnatela del dolore, profeticamente rinacque come quelle sempiterne del bel Danubio Blu… muoio, sì, se leggermente non oso e disosso, eh eh, di arcano, miei cani. E i lupi!?

Uh uh, castello ululà, lupo ululì.

Questo è Frankenstein Junior ma va benissimo, sì, facciamo di tutto un mostro, piccolo o grande che sia, una citazione ché il domani ancora sarà. Ah ah!

Dracula precipitò, cadde in una sorta di stato mentale da ohibò,  da“bimbo”, scusate, qui mi son sbagliato, limbo… da lindo.

E pareva non sarebbe mai più tornato fresco e pulito.

Bastava che si lavasse ogni tanto, invece di trascurarsi e rendersi oscurità. Uh uh.

Eh sì, ridotto in quello straccio, ops, scusate, volevo dire bruttino stato, non si poteva vedere. Eh no.

Invece tornò. E, con non tanto buona pace di chi lo tradì, che voglia(no) o no, li/lo torturerà.

Oh, lei è Luna. Il Sole mi fa le catture.

Abbaio nella bara. Sono il babau delle vostri maggiori paure.

Ebbene, torniamo a Londra, navighiamo verso la ritrovata Mina mia!

Tutti a pru(gn)a.

Eh eh.

Perché Dracula per anni invecchiò, assumendo una fisionomia, non solo esteriore ma di melanconia interiore, un aspetto vicino alla senilità.

Ma grazie al suo ingegno, a una buona razione di femmina…, irto ancora si elevò…

Come non poteva non drizzarsi? Eh no, per forza.

E qui, con enorme parsimonia, vi regala quasi tutto il primo capitolo.

A lei altro, ma questo non è “affare” che vi riguarda. No!

Lei, del mio, è riguardosa. Rosa e poi rossa, viola e poi il mio dentro vola…

Voi dovete pensare solo a sborsare. A incassare e a insaccarla ci pen(s)o io. Cazzo!

Perché egli è uomo di valore, egli è uomo di crociata. Di cappella! E voi, detrattori, che non riponeste fiducia in lui, brutti, schifosi impostori, sarà ora che incrociate le gambe.

Pregate!

Voi dovete pensare solo a sborsare. A incassare e a insaccarla ci pen(s)o io. Cazzo!

Perché egli è uomo di valore, egli è uomo di crociata. Di cappella! E voi, detrattori, che non riponeste fiducia in lui, brutti, schifosi impostori, sarà ora che incrociate le gambe.

Pregate!

1.

Solitudine, arcana litania

Eleganza slanciata, odo una pelle passionale, salsedine o iodio sensibile al plagiare con seduzioni maliziosissime, sbirci d’occhi lisci come sete di calza erogena, montagna di chete malinconica e, nel tremolio vago del mio imperterrito strofinarmi nelle angosce esistenziali, ergerai il Cuor a vessillifera valchiria d’orgasmi forestali nel bosco della fiammeggiante alba da sfociare, intrecciati, nel fluido armonico al Danubio blu empio, genuflesso alle castità rinnegate, all’impervio nuotar nottambuli nella viva esibizione di baci sofferti, calvari intrisi d’alcova che scivola acquatica e supina al letargo mio desto di vestaglia tua arpionata col gaudio sofisticato della libertà sovrana al Piacere (s)covato, al covo mio inchinato alle lussuose grazie muliebri e all’incantata folgore di te a me nudissima, in grazia del Dio che combatto nell’inquieto tormento?

Solitudine, innalzati in grembo e vivifica la salvezza a mia gioia divina!

Fuga e i sogni perduti, un’intensa Notte d’iraconda fame rovente, sguaiato fra lupeggianti torpori, an(s)imo d’ipocondria, di quando il senno, “smargiasso” di gioventù fervida, scolpito in mio volto irto di troppe nostalgie, arcaico è oggi Medioevo fratturato in pioggia a deturpazione delle verità seppellite.

Degli “armamenti” e dei bellicosi “ingegni” di “festeggianti” uomini “belli”, avvoltolati in bavagli malsani, sterile fragilità che incupiste col ricatto vanesio dell’amena “compostezza”, con la fradicia erotomania “guascona” di tutti “raggianti” ai balli damerini. Sfoggiati in monaci di legnos’apatia camuffata da trasparenze vostre “suadenti”.

Addentaste il mio volermi addentrare nel buio più perspicace, indagatorio al Tempo da non ammattire in tribù e sperpero dei tabù ossessivi, martellanti, onnivori e, da scoiattoli furbi di volpe-coda, uve già tumefatte. Agonie e brame, braciere d’incandescenza, candelabri asfissiati nell’onta dei vostri abominevoli peccati. Cranio rasato dell’anima mesta e in ghingheri al fuggitivo esservi non più in voi.

Sbiaditi come pipistrelli uccisi nella lor pelle che un Tempo volava simbiotica, accovacciati ora in fusa da gatti, coccolati dal tepore d’un mio rifugio in cui “dipanano” le ansie delle violenze sociali.

Già evoluti, a ugole limpide sfocate dalle striate amputazioni di questo Mondo insuperbito nel più ignobile sfregiare con la freccia appuntita dell’eloquio futile, delle chiacchiere sol allettanti all’ingurgitato e monotono castigarsi dietro, però, inezia che si concia a orgia.

Anni or sono, meditai un suicidio a disperazione dell’orgoglio mio che tanto sperò ma fu invaso da mostruose anime vostre, sporche e ancor echeggianti questo superato mio Tempo di addolorata e fuggiasca qui dimora.

Esondò, di scatto repulsivo, la propulsiva voglia di Luna, della quiete da sfamare nel pianto crocefisso ai nervi che strangolarono la mia “impercettibile” voce.

Carezzata, un miagolio d’emozioni ed estatica fulgidezza rinata dall’oscura paura annichilita da mio scavalcarne le orripilanti mura di sangue.

Il Cinema!

Amici, per celebrare questo evento epocale, imperdibile, citiamo a ragion veduta i tre più grandi film sui vampiri.

E bocca muta.

Nosferatu

Dracula principe delle tenebre

Dracula di Bram Stoker

Il cavaliere di Alcatraz – Incipit

Clint, lunga vita a Clint!

Clint, lunga vita a Clint!

Il gelido, pallido guerriero dagli occhi di ghiaccio e la sua entrata in scena

Si presentò così, “agghindato” di soli stracci, molto smunto in viso, emaciato direi. Indossava la pelle “minuta” del suo “cowboy”. O forse era una tuta? Ed era, posso dirvelo, eroticamente fascinoso. Anche troppo.

Giaceva come in sé, rannicchiato nel “gomitolo” delle sue forti braccia imponenti, “sbavate” in una risatella beffardina da stronzo grandioso. Di quelli che oggi non se ne fabbricano più. Un Tempo, sì… che le merde finivano qui, ad Alcatraz, e i tipi come Lui, Lui il maiuscolo per eccellenza, potevan ciondolar di grosso e grandezza. In mezzo a questo Mondo di vermi e “formicolii” ove le formiche guadagnan le pagnotte e chi pena davvero vien tagliato del pene più virile, uno come Clint, ex barista, ex gonzo, ex nel rodeo dei suoi cavalli nel cervello, un “matto” così, che cazzo rappresenta fra le sbarre? Qua lo voglion schiaffare. Io gli verserei solo una caraffa rinfrescante, lodante.

E ai bastardi un po’ di caffè bollente nel culo, “mesto” bene nell’ano.

Clint camminò a passi leggeri come uno scoiattolo quando piscia nel silenzio della Notte.

Clint è però sia gatto che cane, e scodinzola con classe e portamento decorosi.

La dignità d’essere sbattuto ad Alcatraz chissà per quale reato. Forse perché una sera aveva bevuto troppo, e ha “ingozzato” di percosse una che gli voleva “trasmetter” la “scossa” delle sue puttanesche cosce. Dai, suvvia, ha fatto bene. Quella lì deve andar a “mietere” nei granai delle grane poderose del suo seno – siliconatissimo, tanto che te “lo” attizza e ammoscia per troppo “capezzolo” molto “tirato a lucido”. Quella va “stirata” del classico cazzo(tto).

Bravo Clint, ti stringo la mano, e ora lasciami pensare all’ultima siringa che mi ficcai nelle vene. Guarda un po’, son “incuneato”, diciamo inculato ad Alcatraz. Ma il ricordo di quell’ago è giovialissimo, sparato con cura in gola. Sì, tutto ingollato il mio “erotomane” esser cocainomane. No, non sono un Uomo cattivo. So quello che dico, e come scopo io me stesso non riuscirà neppure un Labrador se si sforza d’inutili sfoghi in piazza.

Io appesi le scarpe al chiodo, sì, del mio giubbotto, mentre voi, lemme lemme, incarnate la più disgustosa flemma, la catarsi a tutto, e mi provocate il rutto. Ah, che eruzione, pigliatevela in mezzo alle palle, io alzo lo scettro di questi “lutti”, finiti qui, ad Alcatraz.

 

Martin Scorsese, la strada dei sogni – Booktrailer

Cinema Addiction

Cinema Addiction, io sono il grande chef!

Ammirazione sconfinata per me stesso, partorente opere geniali da nautico degli amori miei vanesi, finanche virtuali a soff(r)i(r) intensi di vivido incenso, in quanto mi beatifico in pace be(l)ata delle donne-a(g)nello a me “crostate”, scusate prostrate però non “posate” quando gli ormoni “sparecchio” con forchette di mio taglio e cuci(notto), (im)paziente inglese all’ora del tè per un testa a tête di bontà e gustoso “taste” allo yogurt di buoni auguri testé, anche di leccate da cime a piedi, come insegnava il “pittore” Cimabue, maestro delle prospettive a Giotto e credo persino delle “tette” a suo “inchiostro” fra un po’ far il cascamorto, della nutriente “mortadella” e brindar col vino fischiettando nei giulivi chioschi. Arcimboldi, auto-ritratto di sua “banana” al pomodoro in co(r)p.

Con questa mia “merenda”, non mi svenderete da urlatore fruttivendolo perché il mio sangue creativo è denso, anche di Creatina raggrumata meglio dei coloranti agrumi, leggi tinte ai capelli canuti, su “gelatina” aromatica d’accartocciarvi nella stagnola carta di chi se “lo” suona e non se la magna.

Gnam gnam, io divoro Cinema a volontà, onnivoro d’ogni genere e (de)generando dai thriller più appetitosi di “sa(ls)e” splatter agli horror più gorecome l’anguria spolpata sin all’ultimo slurp di “succhiotti”.
Che pulpata. Che pappe, che chiappona che hai mia chiatta, che palle come il burro di arachidi su natiche senza “entrante” dell’ammorbidente limonante.
Cazzo… già. La “mela” imputridisce e, ingiallita, va in (ca)muffa nelle vostre emozioni da frigoriferi viventi, amb(i)enti oramai solo alla carne del prosciutto da pigri maiali. Avete le panze piene, oh, miei abbienti!

Vi svuoto io!

Tu mangi, però. Mannaggia. E io ti eviro con la penna stilografica a mo’ di mannaia, intingendo il tuo capo da capra nel calamaio del mio gigante, al fine che, assorbendo il tuo midollo spinale arrugginito e materialista, addiverrai alle labbra umide del vero tuo, dapprima, rinnegato cuore da laido cannibale.

Anticorpi, schieratevi in battaglia, la cena s’annuncia lunga e resisteranno solo i più “duri”.
Ma passiamo al dolce dopo i vostri “primi della classe”, invero secondi a me, il me(r)lone affumicato, e ciucciamo sin all’ultima “goccia” questo delicato “tiramisù” di “pen” inzuppato nello zabaione più prelibato.

Applauso.
E buon Cinema a ogni amante della buona “tavola”, leggasi scrivania ove ingurgito celluloide in streaming. Anche se strizza.

  1. The Addiction (1995)
  2. L’infernale Quinlan (1958)
  3. Lo spaventapasseri (1973)
  4. King of New York (1989)
  5. The Elephant Man (1980)

“Cuore angelico, tenere tenebre sanguigne”, la mia opera letteraria-cinematografica, ispirata all’“Angel Heart” di Alan Parker, e inebriata nel “Faust” di Goethe, oggi recensita su Sky

Ore 18 di codesto dì, desinante la mia grandiosità spettrale… su VIVA L’ITALIA CHANNEL, canale 879 del digitale… il mio rinomato romanzo da (extra)terrestre che, alienato (e natosi tale, non rinnegandosi) in astrazioni perennemente oniriche, a voi, prodi scudieri del mio raffinato portamento da condottiero ectoplasmatico, allestì un libro di cotanto scibile e ardente ardire, la cui recensione sarà fra poche ore trasmessa in nazional diffusione, e me ne prostro di enormi, incessanti incensi a mio ingegno dagl’incendi stupefacenti.

Registrare è un obbligo (im)pertinente.

Perché solo dall’unico e inconfondibile Falotico potrete apprendere come, non soltanto si scrive, ma come si ama, anche in virtù dell’inconscio nostro profondo che (s)fu(ma).

Promemoria per i miei adepti, cari fratelli della congrega. In tal epoca scombussolante, ove gli arditi temerari dei valori (im)morali, troppo innamorati della vita per abdicare ai principi… dell’odioso materialismo borghese, oggi tanto celebrato in cene oscenamente frivole, son spesso colpiti dalla viltà dei miserabili, aggregatevi dunque in sacro osannarmi d’applauso nei mille scrosci del “Bravo” oltre e di tal opera di Pianeta alt(r)o.

Banchettiamo felici, noi vincitori del Cuore… che, consunto dagli untori che c’odiarono d’acrimonie “consumatrici”, infliggendoci umiliazioni e (non) cicatrizzabili dolori, siam risorti in gloria, a vascello pirata, issante della mia poesia di strepitosa altra vincente annata.

Osanna nell’alto dei cieli, alleluia nel plenilunio.

Ove un investigatore indagherà nel buio del suo fantasma… per risalire alle origini diaboliche d’un inganno mefistofelico camuffato da satanica e angelica donna color rosso sangue…
Ricordate: noi siamo i cavalieri del nostro destino e, impadronendoci della nostra anima, molte volte rubata e deturpata dai carnali e triviali meschini, qui (non) giace in mia creatura straordinaria. Ché Dio mi rifulga in empireo del mio zelo di prosa e di Ercole a cui anche Zeus dovette inchinarsi perché provo il suo coraggio e fu magnificato da una forza impressionante, mai stremata e ancor più fortificata.
Leggete, ascoltate come scandiranno Falotico, e pace agli uomini di buona volontà.
Ora, fratelli, cingiamoci in un attimo eterno di raccoglimento a preghiera dell’Altissimo qui (non) Cristo, asceso alla destra del Padre e alla Sinistra del Diavolo, in quanto tastiera di (ambi)destro.

L-ambendo, andai scalando e, salendo, asciugai me stesso nella benedizione del Giordano.

Che gioia.

Ciao!
Parola del Signore!

 

Firmato il Genius

(Stefano Falotico)

 

Martin Scorsese, la strada dei sogni

Tassista di notte

Tassista di notte

 

Da incorniciare a memoria, da oggi è disponibile anche in cartaceo il mio saggio polivalente su Martin Scorsese. Presto, reperibile sui maggiori store online per la vendita perfino in eBook. Su Amazon, è già acquistabile in versione Kindle.

Polivalente perché, con stile consuetamente raffinato, il qui presente Stefano Falotico, mutevole camaleonte deniriano d’ogni più impensabile e alta creazione, in tale libro imperdibile, perlaceo e splendente di rara purezza inestimabile, s’è addentrato a scisma scorsesiano nell’eviscerarlo con elegantissima classe di prosa funambolica, serpeggiante tra omaggianti liriche sinergiche al decantarlo in vette poetiche d’indubbia saggezza, riflessioni profonde di ponderato levigarsene a parabole morali da impartir con leggiadria incommensurabile, e intarsi prosaici dal fulgore svettante a librazione mastodontica dell’ammirazione infinita. Inchinato dinanzi al Maestro Martin, padrone del mio destino, poiché scalfì indelebilmente la mia adolescenza con la sua celluloide di stupefacente rinomanza luminescente, come Travis passeggio candidamente in Verbo del mio e suo allietarvi di corroborante vetustà lessicale e dunque cinematografica. A proiezione del grande schermo incarnato in mia lucente verità inoppugnabile, levigandolo, “scheggio” l’Arte elevata del suo potentissimo Cinema incomparabile, “trascurando” volontariamente segmenti della sua vastissima e storica filmografia a “monografico” aspergerlo in mio diletto, perciò prostrato a sua avvenenza.

Di quando, turbato dalla mia precoce pubertà scalciante, già fluttuai navigante nelle tonitruanti membra metafisiche del Bickle, straniero sleeper della light in last temptation of Christ. Vivendo, a pelle di taglio mohicano, la grinta da cowboy del warrior solitario, ottenebratosi a virtuosi, lampeggianti neon in De Niro natante di ne(r)o, nei gironi infernali della mia anima mai acquiescente, ma d’acquitrinoso immergerla a tuffi lacustri dell’inconscio, (non) vissi “cutaneo” da libellula amante delle sue emozioni al tergicristallo. Ballando, interminabilmente notturno, fra i trambusti delle squame al mio squalo euforizzante dirimpetto a tanta beltà pensante.

Scoprirete la poesia del Falotico nel riscoprire Taxi Driver e altro, molto alto…

 

Notte rossa

Le notti, infuocate e fervide, ci seducono e rapiscono nei loro infernali giochi maliziosi.
Immergiamoci nelle lune piene. Tuffiamocene e, dai loro zampilli craterici, misteriosamente risorgeremo.