Fantasmi lunatici

Fantasmi

Ebbene un altro libro partorito in evanescenza corporea della mia anima spesso affranta eppur ancora (r)esistente nel frastuono dei tuoni della mia linda coscienza fluttuante in stati densi di “autoctona” illibatezza e saporito profumo di meningi assorte a contemplare l’al di là proveniente dalle mie vene pregne di creatività lavica come vulcanica esuberanza d’un cervello mai domo, non assopitosi nella coscienza generale. Ancora i fantasmi, principeschi si mossero in “acque” creaturali di me magmatico e ora, magnetici, si ricreano in nuove forme di prosa poetica ai confini dell’immaginazione nella sua brillante soavità più gravida di barocco goticismo e sapido mio (t)essere nell’amletica ampiezza di sguardo.

No, non sto farneticando eppur non vano, ma giustamente vanitoso, mi auto-elogio in estasi di queste creature che compagnia vi faranno nel terrorizzarvi laddove la paura ancor non addomesticata è, perché viviamo spesso rabbrividendo nel mondo pugnace che tanto inquietar ci fa, e coi suoi tormenti ci rende sguinzagliate menti che la grandezza ricercano nell’infinitezza della splendida bellezza.

Comprate questo libro e (in)vogliatene tutti.

Così sia.

Il commediante Booktrailer

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Mesta, eppur rimesto, continua la mia vi(t)a letteraria, balzana e adocchiante i difetti degl’in(s)etti. Ecco allora che spunta questo spumante, no, sputante filmato di vivacità te(r)sa, acquietato nella nostalgia e innestato in una “nervosa” musica jazz che tutto colora e corrobora. Filmato al solito curato, cullato oserei dire da Daniele Fiori, mio compagno di avventure e allestitore d’immagini, da me oculatamente scelte, opzionate spero con g(i)usto, allineate a un modus filmico, appunto, originale, pregno di malinconia e amara dolcezza, così com’è l’esistenza nostra, da me ribattezzata resistenza, che si “accomoda”, “acconcia”, accovaccia negli strati bui del pensiero e rimugina, s’introflette, patisce la colpa di essere, dunque non esservi, riparte, sgalletta e abbaia di latrato verace. Il commediante è un uomo clown, che cambia faccia e, sfaccettato, tagliuzza la realtà a piacimento nel goderne triste e appunto pen(s)ante, afflitto da problemi “intestin(al)i” al gaudio erotto, spezzato, vomitante ira irta e inconsolabile nel suo autentico piagnisteo sincero, anzi di cera senza certezze, senz’agganciarsi alle schematiche cernite e/o “cerniere”. Sbottonandosi, abbraccia il vero essenziale, lo scudiscia, lo recide, se n’incide magniloquente, grida a voce fuori dal cor(p)o in “altezza” nobiliare che, sublime e sublimandolo, lo trascina in “basso”, ove il mondo si può guardare con impudica trasparenza, con ilarità frizzante e rizzante il suo (g)orgoglio squillante e squinternato, “patetico” e (in)ascoltabile. Forse solo bile o un uomo da biliardo non tanto lardo e neppur laido, ma di suo manto-amianto. D’amaro amabilissimo.

Amatelo e vi disprezzerà, anzi, spezzerà in mille suoi pazzi e suoi cazzi.

Il cavaliere di Londra

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Ebbene, per questo Natale 2016, ho voluto regalare ai miei sostenitori un’opera degna del mio pre(sti)gio, intarsiata in parole “caduche” e nostalgiche, arroventate sul mio cerv(ell)o arrovellato e sulla mia fervida immaginazione rovente, un libro “dinoccolato” nel piacer mentale di una sobria e dunque anche irruenta avventura cavalcante le notti cup(id)e, procacciatrici d’incubi com’è nella storia da me dipanata in parole forti, “a forbici”, permeate di un’atmosfera nitida di bramosa potenza al(a)ta. Tagliente nel recidere le cer(tezz)e al solito borghesi, un’avventura madida di lotte fratricide e stupenda voglia di (ri)scatto, laddove vi fu un crimine, un’accusa mendace e quindi un inseguimento rocambolesco e roboante a I guerrieri della notte. Clint stavolta sarà immerso in una trama bigger than life, ma forse potrebbe (t)essere tutto un sogno e, allo schiarirsi delle palpebre riaperte, riassaporate l’odor profumante della libertà disincagliata dall’orrore che (intra)vide, percepì, tocco con le mani insanguinate del suo coraggio speranza irraggiante e leggiadro/a.

In attesa del trailer di The Comedian, una recensione positiva da IBS.it del mio Il commediante

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Fratelli e sorelle della congrega, cinti in raccoglimento in preghiera di me, raccoglietevi e accoglietemi. Siete o no un’accolita? Al bando la colite. Strani tempi stiamo vivendo nottetempo. E in questo “tempio” strambo io mi (e)levo con far birbantesco, seminando zizzania per creare vivacità e dar vita a ciò che vi (ar)rende spenti. So che, nelle notti fosche di tal rigido inverno, soffrite le pene dell’inferno. E voi donne anche il mancante pene, infreddolito e reso arido da un’esistenza coniugale (non) spossante. Ma non rammaricatevene. Ci son io a darvi gusto con ilarità senza pari e melodrammaticità non uniformata ai soli(ti) can(non)i. Io ridicolizzo l’uomo moderno nel “frigorifero”, no, nel forgiarlo a mia immagine e somiglianza, eppur non solipsista da solo mi appisolo. Dimenticando, nel sonno della “regione”, le re(li)gioni atee ai valori di massa(ie). Bando alle ciance. Non è più temp(i)o di chiacchiere. In questi giorni, ripeto, difficili e ostici, ostrica, uscirà il primo trailer ufficiale della Sony Pictures Classics di The Comedian, il film di Taylor Hackford con De Niro e DeVito presentato con (in)successo all’AFI Fest di quest’anno, esattamente lo scorso 11 Novembre. Le critiche (di)sparate non ne furono benevolenti ma, nolenti o volenti, assisteremo a tal film(ato). Cari sapienti e insipienti ché sarete sapidi o, insipidi, niente saprete. Un film che si prospettava essere “tosto” per concorrere agli Oscar ma, ribadisco, le prime reviews non preannunciano una pellicola da Academy Award. Staremo a vedere. Avvediamocene e speriamo presto d’intravederlo. Nel frattempo, o nel frutteto se siete degli “agricoltori di coltura”, no, di Cultura, se siete cotti o colti… in “fragrante”, no, in flagranza del vostro cervellino, il vostro grande Falotichino partorì un’opera speculare, che ha ricevuto ieri pomeriggio una recensione entusiastica che potrete trovare su IBS.it, sotto il mio, appunto (e prendete appunti), Il commediante, da non confondere con Il Comico di Watchmen, eh eh. Ah ah!

Qui essa, o ella, essendo stata una donna a incensarmi incessantemente, cari cessi, ve la copio-incollo, in memoria dei posteri, aspettando anche il poster di The Comedian.

Se cercate una logica, un filo conduttore, in questo libro non esiste. È una sorta di diario, di raccolta di pensieri sparsi, ricordi e sensazioni. A prima vista è un’analisi cinica dei valori o disvalori di questa società. In effetti è un’autoanalisi. L’autore parla di sé, dei suoi sogni spezzati, della solitudine da cui non riesce ad uscire e della depressione che lo avvolge, lo avviluppa, come una coperta sotto cui nascondersi. Riemergono ricordi amari, esperienze che lo hanno segnato e che fa fatica a rielaborare, speranze di vita andate disilluse, il tutto nascosto sotto una risata amara. Il commediante per definizione è una persona che finge, che recita una commedia per far ridere su vicende tragiche e l’autore fa questo, ride e deride le abitudini piatte, la civiltà del progresso che invece ci sta portando verso un regresso, della cultura, della consapevolezza. Tutti sono commedianti in questa società perché tutti fingono, più o meno consapevolmente, ma lui sa di fingere, e ride di chi è talmente omologato da non distinguere più se stesso dagli altri. È un libro breve, perché è denso di emozioni, è scritto d’impeto, senza pensare, e si vede. Non è un libro ragionato, non c’è trama, inizio o fine, è modo di esplorarsi, parlare con se stesso, fare emergere conflitti, trovare un modo per risolverli Il linguaggio è ricercato, a volte non facile da comprendere, e molte immagini o ricordi evocati possono essere disturbanti, ma la realtà, o quello che noi ricordiamo come reale, a volte è disturbante, ci annichilisce, ci lascia senza fiato. Questo libro si legge in una volta sola, senza interruzioni, e ti lascia senza fiato.

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Insomma, fiato alle trombe. E, anche se penate d’ernia allo iato, andate allo stadio, e trombate.

 

Naturalmente un post(er) di Stefano Falotico

Il cavaliere di San Pietroburgo e ringraziamenti

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Immagini da me accuratamente scelte si dipanano nella vastità della mia immaginazione che, senza fronzoli, arrotolata e quindi poi distesa lungo i corridoi della mia fantasia briosa e anche “rabbrividente”, innervata a magma di un’altra pindarica creazione soave come cieli madidi di speranza non fuggevole, ha partorito quest’altro filmato incantato, duro come il diamante più puro, in “concomitanza” con l’ardito Daniele Fiori che, con la solita precisione millimetrica, calibrata di gusto superiore, ha immortalato la mia voce narrante nel flusso di quadri, potremo dire, pittorici che racchiudono nelle lor viscere calde e roventi la sprigionante mia opera letteraria. Un libro che enuclea la mia essenza e qui, asciugato in un trailer potente come un papa russo, si fa musica intrecciata alla mia gola roca e anche supremamente morbida, nel colorarsi di nerezza e, com’un arcobaleno pungente di variopinta eccentricità marmorea, si leviga in questi minuti tesi nella suspense della creta romantica più linda di raffinato splendore.
Ancora grazie a me e a Daniele, maestro dei fotogrammi immaginifici, amante, come me, della prosa poetica e della sua incarnata bellezza autarchica. Libera da tutto e libera di volare al(a)ta.

 

Il commediante disponibile alla vendita in cartaceo

Da ieri sera su Youcanprint, nelle prossime ore e giorni sulle maggiori catene librarie online, anche. Non mi sfiancherete.

Youcan Commediante

Prosegue incantato, al flusso mio di coscienza incatenato, questo mio strambo percorso letterario, che sfocia in fantasie mischiate al di-vino del mio cullarmi in estatica creatività, magma che s’arroventa tra le foschie del pensar candido, genuflettendomi alla (circo)stanza dei miei dubbi umani, dell’esistenziale rincorrere il guaente, anzi “guarente”, voglioso (non) essere, Amleto di astrattezza pindarica, arcobaleno io vivente, oggi vibrante in stili di vi(s)ta occidentali, domani “occipitale” a Oriente, nel blu mesmerico virante. Ecco a voi Il commediante, opera “frastagliata”, un lungo monologo interiore che s’enuclea nel mio Ver(b)o, spiattellato con rinomanza di classe quasi “esoterica” per come mesce sprazzi di quotidianità dai miei occhi filtrata ed episodi aneddotici dell’esistere, anzi in questo mondo resistere. Non desisto e parlo fra me e me, tra un caffè “birichino” e un altro furbo mio occhiolino, un po’ Pinocchio e un po’ farlocco, ma sempre un gran libro del Falotico.

Il commediante in Kindle e la sua copertina

Sì, è uscito oggi.

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Ebbene, ecco questo mio libro e naturalmente la copertina.

Per questo mio lavoro, sofisticato ed esemplare come sempre, e sfido in merito qualcuno a obiettare sull’eleganza del mio talento di rara spregiudicatezza quanto di parimenti alta raffinatezza, mi son affidato a Martina Di Berardino, valentissima grafica che già me ne aveva curata un’altra.

Come vi sembra? Ecco, vi racconto la storia della sua genesi.

Nelle mie intenzioni originarie, doveva nella cover esser impresso il mio volto, adeguatamente e delicatamente ritoccato in versione clown, pagliaccescamente simile, anche per postura del mio busto, a quello di Bob De Niro in The King of Comedy. Gli accordi erano quelli e, in effetti, Martina mi aveva mandato una preview che s’avvicinava molto ai miei desideri. Ma poi, di comun accordo, abbiamo virato verso un’immagine più ermetica, gustosamente giocata di ombre e luci, rifrangenze della maglietta rossa a “basamento” della cornice d’un volto “aguzzo”, dal naso aquilino come Alighieri (comme)D(i)ante, modellata sull’immaginazione che può scatenarsi in chi lo vede per la sua “risonanza” quasi mefistofelica, ieratica, cupa ma che potrebbe celare notevole e sprizzante allegrezza. Una copertina “birbante”, misterica se vogliamo dirla tutta. In questo volto, intagliato nell’oscurità appunto chiaroscurale, ognuno può vederci quel che vuole, il comico che si nasconde nel buio della sua “tristezza” e in melanconica posa pen(s)a in solitudine quasi “asettica”, oppure un uomo nascosto nelle viscere del suo sguinzagliato esser fervente del poetico danzar su un palcoscenico “ipocondriaco”, riflettente i suoi malesseri esistenziali, o semplicemente una sagoma da applause e stand up comedy dai levigati tratti fisiognomici (s)colpiti e presto, chissà, emozioni ferine e “canterine” sprigionanti il sé avvolto nella tetra opalescenza amletica di (non) esser(vi).

Mia anticipazione letteraria, Il commediante

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Ebbene, Settembre è arrivato, mese nel quale compirò anche gli anni, come ogni anno. Ho aspettato oggi per mandare la bozza, già da me ripulita e “corretta”, del mio prossimo capolavoro letterario, al mio editor, perché volevo godermi, com’infatti ho goduto, dei temporali estivi le cui piogge, inoltratesi nella notte a (s)ce(n)dere, allietano spesso la mia malinconia “afosa”, surriscaldata spesso di pensieri dall’escursione termica vorace e appetitosa, baciante leit-motiv di acuto menefreghismo aristocratico, come si confà alla mia natura “sgattaiolante”, indispettita dalla società ma al contempo dispettosa quando gl’impeti di rabbia m’assalgono e grosse le combino nel camminar inevitabilmente tramontante di mia (r)esistenza dalla sua congenialità congenita così invero armoniosa. In me, infatti, è innata la beatitudine contemplativa, la pace dei sensi e anche dei seni ché, ingrassando, stan spuntando ormonali in alterazioni biogenetiche di mio camaleontismo trasformista, parimenti grande e similare a quello del leggendario Bob De Niro.

Lui, diretto da Taylor Hackford, sarà The Comedian, il comico da non confondere col personaggio famoso di Watchmen.

Il commediante osserva e spesso poco vi entra, penetrandola… tal realtà con immane spirito buffonesco, goliardico per insaporire la leggerezza del suo prenderla a culo, metodico nelle introspettive analisi di sé stes(s)o, caracollante dinanzi alla vita così di umori (in)stabili altalenante. E se n’allena sbeffeggiando l’ipocrisia di una massa becera e qualunquista che “volentieri” lo ripugna, che disprezza e a cui oppone le sue freddure e battute senza p(r)ezzo.

Sì, questo sarà il mio prossimo lib(e)ro, come dico io. Non ho da dare “giustezze” alla gente, come invece ridicolmente fanno gli insegnanti… demagogici, schematici, con forte autostima e anche latente idiozia del voler (loro) detenere verità assolute, che a me spaventano, a me destabilizzano, a me inducono a esser, in aperta scontrosità da me amata e ammal(i)ata, così trasgressivo, ridente nell’irriderli, nel digerire le mie giornate tutte (non) uguali, a sopperir le lor atroci mancanze d’intelligenza col mio 360 gradi di beltà risonante in una mia interiorità così mistica, misteriosa, unicamente falotica.

Io sono il commediante. Dopo tanti libri “lugubri”, veri però come i diamanti puri del genio in me insindacabile e nera ilarità sguinzagliante, un’opera compos(i)ta di ridanciano approdo al me melanconico allegretto e ritto che, ridendovi e scherzandovi sopra, sopra la vi(s)ta degli “ordinari”, le sue cazzate “urina” con indubbia saggezza e altezzosa, stupenda classe.

Applauso. E ora il mio (in)chino. Datemi un Chinò e berrò poi la birra in onor della mia mente profumo (m)ir(r)a.

 

Il cavaliere di San Pietroburgo, recensioni notevoli da IBS.it

cavalieredisanpietroburgo IBSOggi, con un orgoglio appunto davvero tale in quanto inorgoglito già del suo baldante esser su, dopo aver mangiato giù, cioè nella locanda rimestante i miei tanti cibi di stati mentali “esagitati”, andando nei pressi di IBS.it, ho “rinvenuto” tali recensioni che qui “allego” in memoria dei posteri, recensioni da affissione, da “posterizzare” per un futuro che, calmato dai ribollire di “metodiche” ansie spesso (avita)bili, mi rincuorerà per attracchi speranzosi in lidi più lindi e più gioviale “commestibilità” di me, adesso spesso (so)speso nella suspense dell’incertezza d’un vivermi quotidiano sempre (in)certo.

Recensioni entusiastiche di questa mia opera che sempre conserverò nel cor(po), lontana dai soliti corpi, immersa nei bui corridori, no, corridoi d’una vaga spensieratezza “ansiogena”, opera composita e composta di molti st(r)ati variegati, frammentata in aneddoti apparentemente nonsense e “soggiogata” alla mia volontà che così fosse, sia e sarà.

Recensioni “femminili”, di rara delicatezza che carpirono il senso non capibile subito del romanzo, del terzo di questa mia trilogia…

Due recensioni enormemente positive:

Miriam (19-08-2016)

Clint e i suoi disperati seguaci li possiamo vedere ogni giorno, sono gli artisti di strada che suonano liberi, gli emarginati che si riuniscono di notte e si raccontano gli espedienti del giorno, quelli che rinunciano al posto in banca per girare il mondo a piedi con uno zaino. Il luogo non ha importanza, potrebbe trattarsi di un villaggio nella savana africana, o di una favela ai margini di Rio. In questo libro, è inutile cercare un filo logico tra le dissertazioni di Clint, i racconti, i sogni, niente è logico. Non esiste nesso tra causa-effetto, tesi e antitesi, dimenticate Cartesio e la logica del pensiero che forma l’esistenza. Qui è il contrario, l’esistenza determina il pensiero, i ricordi, le disavventure, la carnalità esasperata, la visione dell’Altissimo mescolata al più infimo inferno quotidiano. L’esistenza di Clint è in continuo divenire, un fiume che scorre e che non è mai uguale a se stesso, che procede senza direzione perché non sai dove ti può portare cercare la verità. Falotico ha una visione del mondo onirica, tenebrosa, non legata assolutamente alla realtà. Rifiuta questa società mercificata, da cui si sente escluso peraltro, e lo manifesta nella scrittura, fa proprie regole di linguaggio nuove, inusuali, alterna capitoli a filastrocche, ricordi di cinema, parabole, obbliga a salti di stile, rende la lettura dei suoi libri un’esperienza emozionale, non solo letteraria. Al di là degli eccessi linguistici, del linguaggio a volte troppo sofisticato e della volgarità per me sempre inopportuna, Il Cavaliere di S. Pietroburgo è un libro che segna profondamente il lettore, una ricerca continua dell’anima, a cui oggi non siamo più abituati.

Voto: 3 / 5

Adele (19-08-2016)

Mi sono imbattuta di nuovo in un libro di Stefano Falotico, il terzo della trilogia di Clint e sono rimasta avviluppata, imbrigliata, come al solito, in un flusso di pensieri, riflessioni, parole confuse che all’inizio sembrano non avere un senso. Clint si trova a S. Pietroburgo rifugiato in una chiesa sconsacrata, col suo seguito di anime perdute in cerca disperata di una guida. La trama è molto esile, uno dei suoi viene assassinato e Clint parte alla ricerca dell’assassino, per vendicare la morte dell’amico. Ma il libro non parla di questo, la ricerca è un pretesto, un punto di partenza per un viaggio introspettivo, in cui realtà e sogno sono confusi, forse i sogni sono più reali della realtà. Clint, Cavaliere, Principe, anima eletta a guida, avverte la missione di cercare l’assassino, ma più che altro di avvicinarsi a Dio, di portare il Verbo sulla terra. Il suo Dio non si trova nelle chiese, difatti si rifugiano in una chiesa sconsacrata, ma fuori, per il mondo, è un dio fatto di sangue e carne, che puoi trovare agli angoli delle strade, con cui litigare, urlare la tua rabbia, ma sempre confidando nella Sua parola, unica salvezza.

Clint è un’anima in cammino, rifiuta questa società mercificata, non vuole essere inquadrato, omologato. Si crede portatore di verità, ma alla fine dirà amaramente che è solo un uomo che non ha nessuna verità. Dopo giorni di ricerca vana ha la rivelazione, Dio ha voluto che girasse a vuoto, ma la soluzione era a portata di mano Clint, trova l’assassino ma non si vendica, la sua non è la sete di vendetta cruenta che si aspettano i suoi. La sua vendetta sarà liberare l’anima dell’assassino, portare allo scoperto i suoi rimorsi e lasciarlo solo con se stesso. Deciderà lui cosa fare, e sia fatta la volontà di Dio. In mezzo a tutto questo troviamo considerazioni sul significato di vivere, sulla politica che ci opprime non facendoci sentire liberi, sul consumismo che ci fa desiderare cose di cui non abbiamo affatto bisogno.
Voto: 4 / 5

 

 

Eliano Bellanova recensisce Il cavaliere di San Pietroburgo

Eliano Bellanova, Il cavaliere di San Pietroburgo

La Corte russa di San Pietroburgo all’epoca dell’Imperatore Nicola II, l’ultimo Zar travolto dalla Rivoluzione bolscevica, era definita un “giardino di ciarlatani”. Tuttavia conservava intatto il ruolo di grande capitale di un Impero che volgeva alla fine. San Pietroburgo e Vienna erano capitali di due grandi Imperi che avevano segnato e… sottolineato la storia. Ambedue erano città pregne di misteri e, mentre Vienna aveva visto uscire il feretro di Francesco Giuseppe, “colpevole” di aver regnato ben 68 anni, San Pietroburgo vide uscire, sotto la forzata “deiscenza” scatenata dall’impulso rivoluzionario, Nicola II e tutta la famiglia Romanov, per finire i loro giorni ad Ekaterinburg sotto il colpi dei rivoluzionari proletari. Imbevuti di teorie marxiste-leniniste, i rivoluzionari di “Ottobre” travolsero i resti di quello che fu uno dei più potenti Imperi del mondo. … San Pietroburgo è il simbolo dell’estremismo, delle tenebre e del crepuscolo per il Cavaliere, che fugge da Alcatraz alla ricerca di una nuova dimensione: latitudini e longitudini diverse che sembrano mirabilmente intersecarsi, contro ogni logica geometrica, astronomica e geofisica. Clint, il personaggio che oscilla fra la determinazione e la “funambolia”, approda in un’aurora boreale di sogni “travasati” in una natura che coniuga mirabilmente il sacro al profano.

“San Pietroburgo, la città dei segreti imperscrutabili, il crocevia di tante marmoree storie angeliche e madre d’altrettanti diabolici sotterfugi gelidi, la città di Cristo crocifisso al centro magmatico del nostro pazzo, stupendo mondo stravagante, del suo “menestrellante” esser sfera vitale, primigenia mela d’ogni originario, inviolato, original Peccato di Dio l’Altissimo e intoccabile” – così, in un tratto di penna “artistico” l’Autore scolpisce sul “marmo del suo libro” l’antica, fascinosa città, che un tempo si era opposta, come invalicabile baluardo, alle invasioni d’oriente e d’occidente, dimostrandosi un crocevia di scontri e incontri d’ogni genere. Il neo-Artù, Clint, il Cavaliere epico senza macchia e senza peccato (come si sarebbero espressi i cantori del Medioevo) è il messaggero di una “sua divina” libertà, che passa “impunemente” dalla verminosa periferia alla catarsi delle chiese, della crocifissione di Gesù Cristo. Clint passa dall’osservazione all’annunciazione profetica, dal “grigio quotidiano” ad un “aldilà immanente”, perché egli, forse, non è né ateo, né credente, né scettico, né bigotto. È uno spirito libero e gli spiriti liberi, quando passano all’azione, rischiano perfino il carcere, come un “Cristo in mutande”, che, teso all’estremo, non sopporterà soltanto la croce, ma anche una specie di trapasso nella “luciferazione”. Il passaggio è reso dall’Autore sotto forma di favola e, forse, è la prima volta nella letteratura che la filosofia “trasmigra” nella favola: un modo semplice e complesso di trasferire il pensiero presso “l’inclita e il volgo” senza alcuna differenza fra loro. E siccome la vita è danza e musica, la tempesta ormonale per Stefano Falotico passa attraverso la danza e la musica, dove il corpo “si intellettualizza” per divenire armonia proibita e sensualità materiale e morale. Nello scorrere degli eventi scorgeremo anche l’illogica “logica” del delitto, una sua ragion d’essere “assurda” e struggente, fino alle tentazioni, al peccato e, infine, all’astrazione. … perché, dopo tutto, l’uomo è un’astrazione, un pensiero-mezzo, una partenza e un arrivo, i cui confini non sono definiti, neppure dalla “fine della notte”.
Quando i discepoli chiedono a Clint dove siano diretti, ottengono la controversa risposta della mancanza di una direzione esatta, perché nella vita non c’è una direzione esatta, se non nel momento in cui essa sia asservita alla mediocrità e alla monotonia del quotidiano “stanco”. La risposta stende mura invalicabili di fronte al reale pensiero del Cavaliere, forse perché egli comprende che il popolo non è chiamato a capire, ma a seguire. Se il popolo, infatti, fosse indotto a “capire”, il cammino dell’umanità si arresterebbe per troppo tempo, tarpando le ali al progresso e al pensiero stesso. … e cosa resterebbe della comprensione, dell’intelligenza, del lungo cammino, se non il “vulcano demoniaco” (S. F.), il Cristo che si rivela come un nano, forse come un “nano sulle spalle di un gigante”?… anche nella Creazione vi sono enigmi, frammenti, un insieme di “raccolte” lungo il cammino della nostra esistenza. Il Cavaliere di San Pietroburgo raccoglie e lascia per la via, si purifica in una catarsi “estrema”, … egli il Maestro, la Verità “sommersa”, il destino vagante nella notte e “speculante” nel giorno, come un neo-Diogene, che vaga e cammina… compie… … il cammino costante che conduce alla “fine, la morte, la sepoltura e l’inizio della nuova speranza”. … ma le sacre scritture hanno detto forse tutto questo? E la congiunzione fra l’ateo, il profano, il credente, il bigotto, il sognatore, lo scettico… non passa attraverso fughe, misteri, fraintesi (la stessa vita non è forse un frainteso?). E la libertà… non è, a sua volta, un frainteso? E la virtù non è forse noiosa e pedante? E la follia non esprime forse la natura intimamente irrazionale dell’uomo? È necessario essere “Cavalieri” per fuggire dal quotidiano del “serpente” per accettare il cangiante evolversi delle aquile. La montagna e l’abisso… non sono forse due facce della stessa medaglia? E quando avremo scoperto tutto ciò… non troveremo che Clint – con le sue follie, i suoi paradossi, le sue tristezze, i suoi “silenzi” intercalati da parole “sospese” – rappresenti l’incisione della vita nelle pieghe e nelle piaghe del quotidiano “magico”?
“Il cavaliere di San Pietroburgo” è quindi la vita che, dalla brama e dai desideri, passa alla catarsi e al tramonto come anelito di speranza nel futuro, “tacite gementes tristam fortunae vicem” (Fedro – piangendo in silenzio il triste mutamento della fortuna).